La memoria della guerra e le immagini del paese

Sarajevo film fest/ SCHERMI D’EUROPA
La rassegna permette di scoprire le nuove produzioni e i talenti della regione. Ma tra gli ospiti ci sono anche Moretti e Kaurismaki

Sarajevo film fest/ SCHERMI D’EUROPA
La rassegna permette di scoprire le nuove produzioni e i talenti della regione. Ma tra gli ospiti ci sono anche Moretti e Kaurismaki

 SARAJEVO.Vengono cineasti e aspiranti tali giovanissimi, giovani e veterani da tutta l’Europa del sudest. È il Sarajevo Film Festival che alla 17° edizione si conferma il luogo da cui passa il cinema della regione, compreso quello che verrà con i progetti Talent Campus (ricalcato sul modello di Berlino) e Cinelink, una sorta di mercato dove i progetti in sviluppo cercano coproduzioni. Per dieci giorni la capitale della Bosnia diventa luogo di incontro, dove far crescere le idee e presentare le novità. Il festival si è aperto consegnando idealmente il premio Heart of Sarajevo a Jafar Panahi, che nel ’95 inaugurò la prima edizione con Il palloncino bianco.

L’Sff vive di tanti momenti, tutti molto seguiti, dal concorso lungometraggi (in giuria anche Alberto Barbera) a quello documentari (con Luciano Barisone giurato) ai corti. E poi l’arena all’aperto che ospita ogni sera un grande titolo internazionale, il panorama e gli omaggi (alla regista argentina Lucrecia Martel).
Ricerca e promozione del cinema regionale si conciliano con lo spettacolo: in 3D sono stati presentati Cars 2, Il re leone, Pina di Wenders. Accolto con calore Nanni Moretti ha presentato Habemus Papam, mentre è quasi di casa il turco Nuri Bilge Ceylan il cui Once upon a Time in Anatolia è una coproduzione con la Bosnia. L’attore André Wilms ha accompagnato Le Havre di Aki Kaurismaki e nell’arena è stato mostrato il documentario Orchestra di Pjer Zalica, sulla Plavi Orkestar di Sarajevo, applauditissimo dal pubblico. Accolto molto bene anche Cinema Komunisto, documentario antologico della belgradese Mila Turajlic (già passato al Trieste Film Festival) che ripercorre la storia della ex Jugoslavia attraverso il cinema ufficiale. Quello dei colossal finanziati da Tito con le star straniere, da Yul Brinner a Richard Burton a Orson Welles, e degli studios Avala di Belgrado. Turajlic ha usato spezzoni di ben 56 pellicole e ha scelto come protagonista Aleksandar Leka Konstantinovic, il proiezionista che mostrava a Josip Broz un film al giorno e si beccava i rimbrotti nel caso la proposta non fosse gradita.
Diverte e commuove il bulgaro My Friend Manchester United di Stefan Valdobrev, su un uomo che si dichiara «tifoso di calcio» come professione, ha chiamato il gatto Beckham e ha fatto di tutto (compreso convertirsi alla religione ortodossa) per mutare il suo nome di battesimo in Manchester United come la squadra del cuore. Un amore che con l’appodo del suo connazionale Dimitar Berbatov alla corte di mister Ferguson, è ancora più forte. Il fan coronerà il sogno di arrivare all’Old Trafford ad applaudire i beniamini.
A Hero for Our Time di Seki Radoncic, riprende la storia che nel 2006 era stata al centro del documentario Karneval di Alen Drljevic. Durante la guerra decine di bosniaci vennero trasferiti in Montenegro, e da là sono scomparsi. Un ex poliziotto, Slobodan Pejovic ha dichiarato di averne lasciati fuggire tre salvand loro la vita. Ma i sopravvissuti non lo riconoscono e individuano come loro salvatore un altro ufficiale che nel frattempo è morto. Pejovic è però ormai un eroe nazionale ed è difficile ribaltare la verità ufficiale. Molto duro il nuovo lavoro di Drljevic, che in Pun(a) – Loaded racconta la vicenda di un ragazzino che giocando ha sparato alla sorellina con il fucile del padre. Una situazione inquietante perché dopo l’incidente il genitore porta il ragazzo a caccia con un gruppo di «simpatici» selvaggi.
Riguarda i crimini di guerra anche A Day on the Drina di Ines Tanovic. Un gruppo di uomini parte una mattina d’estate da Sarajevo. Parrebbe una gita ecologica visto che caricano badili e altri attrezzi. Giunti sulla Drina, dove un bacino artificiale è stato temporaneamente svuotato, si mettono a scavare e lasciano affiorare le ossa delle persone uccise nella zona di Visegrad (la città de Il ponte sulla Drina di Ivo Andric, cui Boro Kantic ha dedicato Untitled) dai serbi bosniaci. Alla fine vengono recuperano i resti di 250 persone, compreso un bimbo di due anni e mezzo.
Molto curiosa è la storia dei tre corridori etiopi filmati in Run for Life dal serbo Mladen Maticevic. Dopo aver corso la maratona di Podgorica gli atleti, anziché tornare a casa, salgono su un treno verso l’Ungheria. Si fermano a Belgrado e lì cercano di riprendere l’attività agonistica e ottenere il permesso di soggiorno per meriti atletici ma le cose si fanno difficili. Nei due anni della loro avventura i tre, alloggiati in un paesino di campagna, fanno amicizia con la gente del luogo e imparano la lingua.

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