L’internazionalismo sonoro di Daniele Sepe

CONCERTI Oggi a Napoli, domani Roma
 Un ensemble di dodici elementi, in rappresentanza di differenti culture musicali, suona stasera nel cortile del Maschio Angioino per la rassegna estiva del comune «Napoli città  viva», capobanda Daniele Sepe con la sua Brigada Internazionale in Nostra patria è il mondo intero, come recitava una vecchia canzone anarchica.

CONCERTI Oggi a Napoli, domani Roma
 Un ensemble di dodici elementi, in rappresentanza di differenti culture musicali, suona stasera nel cortile del Maschio Angioino per la rassegna estiva del comune «Napoli città  viva», capobanda Daniele Sepe con la sua Brigada Internazionale in Nostra patria è il mondo intero, come recitava una vecchia canzone anarchica. Ospite Shaone, presente nell’ultimo lavoro discografico di Sepe Fessbuk, con il suo ‘hip hop a mitraglia’: «È la musica della cultura antagonista popolare di oggi – spiega il sassofonista-, quella che ascoltano i ragazzi palestinesi come quelli francesi». Domani saranno a Villa Ada, a Roma.
Daniele, come nasce il progetto Brigada?
Si tratta di un gruppo che varia dai 12 ai 16 elementi. Florin Barbu, ad esempio, l’ho conosciuto in un ristorante di un amico, cantava le canzoni della posteggia, ero convinto che fosse napoletano e invece è romeno. Adesso suona con noi ma puoi ancora trovarlo a Bacoli tra i tavoli con il repertorio partenopeo. Roberto Lagoa invece è argentino, Doris Lavin da Cuba, Robertinho Bastos dalle favelas brasiliane, il padre legava lui e i fratelli al tetto di lamiera per non farlo volare via quando c’era vento. E poi ci sono i miei collaboratori storici come Auli Kokko e Marzouk Mejri. L’ultima ‘audizione’ l’ho fatta al ragazzo della Costa d’Avorio che è venuto a montarmi il condizionatore. Nel quartiere gli avevano detto cosa facevo, allora mi ha fatto vedere i suoi video su Youtube.
La città applaude iniziative simili, da Roma o dal Sudamerica, ma nessun ente sostiene la Brigada.
Il progetto cominciò circa cinque anni fa con un bando regionale sulla formazione, l’incarico venne dato al Teatro Trianon. Il direttore di allora, Nino D’Angelo, mi chiamò e io feci delle audizioni pubbliche. Peccato che il corso fosse finalizzato a fare un solo spettacolo, una fatica di mesi per mettere su un unico concerto tanto per far venire le autorità a prendersi un po’ di applausi. Così chiesi al Trianon di vendere delle date agli altri teatri. La risposta fu che ci dovevamo pensare da soli, pagarci l’Enpals e in più dare a loro 1.500 euro per l’utilizzo del nome Trianon. Allora diventammo la Brigada, abbiamo girato l’Europa con un live che potrebbe durare anche 4 ore. Tutti gli anni ci chiamano a Villa Ada, a Napoli abbiamo suonato una volta sola al Madre. Neanche per capodanno ci hanno mai invitato, si vede che quella parte di città fatta dai migranti non ha diritto a vedersi rappresentata.
Coinvolgete le persone che incontrate sul vostro cammino, con un progetto strutturato sarebbe diverso?
Non si trovano mai le risorse per fare cose con un impatto sociale importante. Per il Forum delle culture del 2013 ho sentito che vogliono far suonare Madonna e allora mi spavento. Da Elton John a Madonna, milioni di euro che si bruciano in due ore per dei ‘vecchietti’, manco delle novità che hanno cose da dire o musicisti al loro massimo. Per il Teatro festival Italia mi contattò il precedente direttore, voleva delle indicazioni per musicisti mediterranei, lui proponeva Noa, io i gruppi palestinesi hip hop, non mi ha più chiamato.
Ci vorrebbe una politica culturale più coraggiosa
C’è un problema di risorse scarsissime è vero, ma questa estate a Napoli del comune, tutte le serate a pagamento, è un problema. La cultura è di tutti, non di chi se la può permettere. Magari sbloccando i soldi del Forum, si potrebbero invitare realtà come l’Orchestre National de Barbes, nata in un quartiere multietnico di Parigi, senza spendere una fortuna. Bisogna creare dei luoghi dove i ventenni possono trovare spazio, in relazione però con la scena internazionale, quella pulsante delle nuove generazioni. Negli anni ’90 c’erano i centri sociali, adesso è da reinventare. Invece sento che vogliono fare la Festa della Taranta a Napoli, ma non si fa già a Melpignano? La musica popolare non è terzine o melismi strani, è il racconto di un popolo contadino che non ha avuto nulla, cosa c’è in queste manifestazioni che racconti questa origine? Va bene la tradizione, ma la cultura popolare oggi si esprime in altre forme e non è detto che alla borghesia debbano piacere. I ragazzi meridionali hanno il rap e la musica neomelodica, testi che parlano di gravidanze a 17 anni o di fratelli in galera. Difficile che si possano identificare nei brani di Jovanotti o Vecchioni. Progettare la politica culturale significa assicurare spazio a tutte le anime e, soprattutto, farle interagire.

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