Marchionne, utili e minacce

FIAT-CHRYSLER Buoni i risultati ma il nostro paese è un buco nero. Fiom e Italia nel mirino
«Su Pomigliano il confronto non si riapre», dice il capo del Lingotto alle tute blu Cgil

FIAT-CHRYSLER Buoni i risultati ma il nostro paese è un buco nero. Fiom e Italia nel mirino
«Su Pomigliano il confronto non si riapre», dice il capo del Lingotto alle tute blu Cgil

 Chrysler, Brasile, furgoncini, Ferrari e Alfa Romeo sono alla base della performance della Fiat. Il secondo trimestre del 2011 si è chiuso in positivo grazie al consolidamento del marchio americano, che ha consentitto a Marchionne di capitalizzare la quota e il venduto Chrysler. I buoni risultati in Brasile, dove la Fiat ha consolidato il primo posto nella hitparade tra i produttori di auto, è la seconda ragione del successo. Ciò detto, l’Italia e l’Europa restano i buchi neri: continua la perdita di quote nei mercati ed è ovvio che sia così, data la mancanza di modelli. Quelli nuovi sono concentrati oltre Atlantico dove Chrysler è tornata a correre aumentando quota, ricavi e utile operativo e riducendo il debito con i governi del Nordamerica.

Gli unici marchi in controtendenza in Europa e in Italia sono quelli del lusso (Ferrari, + 20% dei ricavi) e sportivi (Alfa Romeo, grazie alla Giulietta). Segnali di ripresa anche nel settore dei veicoli commerciali, e di conseguenza l’unico stabilimento italiano del Lingotto che lavora a pieno ritmo è quello abruzzese dove si producono furgoni per Fiat e Peugeot. Il saldo, però, resta negativo.
Un bilancio di questi dati contraddittori tra Chrysler e Fiat e tra Americhe e Europa non possono non destare preoccupazione in Italia dove si producono sempre meno auto, alla faccia degli accordi separati con i sindacati che aumentano ritmi, fatica e cancellano diritti individuali e collettivi. Difficile non leggere nei numeri un crescente disinteresse di Marchionne per gli stabilimenti e l’occupazione in Italia, dentro uno spostamento dell’asse strategico della Chrysler-Fiat da Torino a Detroit. Piazzaffari, che se ne intende, ha letto i dati a modo suo: il titolo ha perso più del 4%. Si attende la fusione tra i due marchi e la nomina del gruppo dirigente unico formato da 25 top-manager, previsto «nei prossimi giorni», come ha precisato ieri l’ad. Infine, l’ulteriore scalata alla Chrysler fino al 58,5% «non c’è ragione per non farla» e si realizzerà entro l’anno.
Fiat Group automobiles ha realizzato ricavi pari a 7,6 miliardi di euro consegnando 568.400 tra vetture e veicoli commerciali leggeri nel trimestre con una crescita del 2,5%, ma bisogna sempre ricordare il buco nero italiano ed europeo, e per quanto riguarda la produzione nel nostro paese la quota è sempre più bassa: sia la Panda (per ora almeno, in attesa della resurrezione di Pomigliano d’Arco che continua a slittare nel tempo) che la Ypsilon vengono costruito nello stabilimento polacco di Thychi. La Chrysler negli Stati uniti ha recuperato quota (+1,2%) salendo al 10% del mercato e in Canada (+2%) al 14,9%.
L’aumento dell’utile netto della Fiat di 1.237 milioni di euro non deve ingannare: 1.058 milioni arrivano dalla quota in Chrysler. Senza questo apporto l’utile sarebbe di 156 milioni. I target per il 2011, alla luce dei risultati, sono rivisti al rialzo. Questi risultati si aggiungono a quelli positivi di due giorni fa sulla trimestrale della Fiat Industrial che raccoglie la parte non auto. A Industrial fa capo Irisbus che produce mezzi per il trasporto pubblico. Lo stabilimento di Avellino è a rischio chiusura.
Marchionne usa i dati della trimestrale per lanciare i suoi dardi avvelenati contro l’Italia e contro la Fiom: «Se il sistema Italia non aiuta trarremo le conseguenze» e «su Pomigliano non ci faremo minacciare», non si capisce se dalla Fiom o dalla giustizia che l’ha condannato per antisindacalità. Certo è che «non riapriamo il confronto sulla Newco», dunque nessuna riapertura di confronto. Baci e abbracci invece ai sindacati e ai lavoratori americani che hanno dato tutto, diritti, sciopero, salari, licenziamenti e pensioni per consentire il salvataggio di Chrysler. E una velata minaccia: «Non fermiamoci».

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