Foto: Comune.catania.it

Frasi fatte, quelle sul disagio giovanile. Prediche inutili, direbbe Luigi Einaudi. Per capire il cuore tenebroso di questa epoca, riflesso soprattutto negli atteggiamenti e nelle pulsioni delle nuove generazioni, non serve leggere il farneticante memoriale di Anders Behring Breivik, il terrorista di Oslo, che ha voluto lasciarci il suo personale e postmoderno Mein Kampf. 1500 pagine di farneticazioni, un misto schizofrenico di odio verso gli immigrati soprattutto islamici e di richiami al più barbarico e oscuro medioevo.

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Generazione 11 settembre: tra ideologie violente e voglia di cambiamento

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Frasi fatte, quelle sul disagio giovanile. Prediche inutili, direbbe Luigi Einaudi. Per capire il cuore tenebroso di questa epoca, riflesso soprattutto negli atteggiamenti e nelle pulsioni delle nuove generazioni, non serve leggere il farneticante memoriale di Anders Behring Breivik, il terrorista di Oslo, che ha voluto lasciarci il suo personale e postmoderno Mein Kampf. 1500 pagine di farneticazioni, un misto schizofrenico di odio verso gli immigrati soprattutto islamici e di richiami al più barbarico e oscuro medioevo.

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Frasi fatte, quelle sul disagio giovanile. Prediche inutili, direbbe Luigi Einaudi. Per capire il cuore tenebroso di questa epoca, riflesso soprattutto negli atteggiamenti e nelle pulsioni delle nuove generazioni, non serve leggere il farneticante memoriale di Anders Behring Breivik, il terrorista di Oslo, che ha voluto lasciarci il suo personale e postmoderno Mein Kampf. 1500 pagine di farneticazioni, un misto schizofrenico di odio verso gli immigrati soprattutto islamici e di richiami al più barbarico e oscuro medioevo.

Tuttavia dietro la pazzia si cela l’inquietudine diffusa che cova nel profondo della nostra civiltà occidentale, ora in declino irreversibile. Molti speravano che gli autori delle stragi fossero i “soliti” terroristi islamici: il nemico esterno fa sempre comodo. E così i giornali italiani di destra, a digiuno di attentati ormai da qualche anno, non hanno saputo trattenersi dal dare il solito giudizio sommario, “sono sempre loro, ci attaccano” titolava trionfante Il Giornale.

Davanti a noi vediamo gli esiti dell’incitamento all’odio che analisi ideologiche e violente, a cominciare dagli ultimi libri della Fallaci e dai suoi emuli europei, hanno istillato nelle menti delle persone più fragili. Breivik è il lato omicida e patologico della generazione 11 settembre, globalizzata e multiculturale, ma preda di timori incontrollabili. E si sa che è sempre la paura ha causare la violenza. Paura del diverso e di un mondo che cambia troppo in fretta e che non riusciamo più a dominare.

L’odierna crisi economica, frutto certamente della speculazione finanziaria e degli eccessi del liberismo, deriva da un cambiamento globale di portata storica: dopo 500 anni i paesi europei (e quindi il cosiddetto Occidente post bellico, che comprende Usa e Giappone) non saranno più alla guida del mondo. Altri attori, Asia e Cina in primis, decideranno anche la nostra sorte. La pretesa, tutta occidentale, che la mente umana possa assoggettare il mondo con la forza della ragione, ma anche con la ragione della forza, si sta rivoltando contro di noi.

Storicamente la globalizzazione è l’ultimo prodotto di questa inarrestabile “volontà di potenza” che ha portato Europa e Usa a controllare il mondo. Oggi quella stessa globalizzazione rovescia tutto, sta portando la vecchia superpotenza del dopoguerra sull’orlo della bancarotta, mentre paesi lontani, soprattutto dell’Asia, torneranno protagonisti della storia e ci supereranno in nome della nostra stessa logica scientifica e capitalista. Ma per noi tutto sarà diverso. Però non siamo preparati.

Non siamo pronti neppure per il secondo fenomeno epocale che sta cambiando il mondo, cioè la migrazione dei popoli, soprattutto del Sud del mondo, che segna in concreto il processo di globalizzazione. La nostra identità cambia inesorabilmente e soltanto gli stolti o le persone in malafede credono di poter fermare la storia con le leggi draconiane, inapplicabili e ingiuste (come avviene nel nostro paese) o con la logica della “fortezza Europa” (che sembra animare le politiche di Francia o Spagna e della stessa Ue). Dobbiamo abituarci a mettere in discussione tutto. I migranti sono una risorsa, questa ormai è una constatazione ovvia, ma non vogliamo vederli perché rappresentano concretamente come stia cambiando il mondo.

Globalizzazione e multiculturalismo: le due parole che Breivik odiava, le due sfide contro cui si scagliano i movimenti di estrema destra, completamente incapaci di guardare al futuro. E l’asfittica assenza di prospettive soffoca le speranze e genera mostri. Che ogni tanto si liberano dalla gabbia seminando terrore e morte.

Tempi molto duri ci attendono. La crisi che pesa sui giovani è frutto di questo cambiamento storico. Ci dovremo abituare ad essere meno ricchi. Questa eventualità è scartata dal nostro immaginario, eppure è quello che avverrà in tempi brevi. La politica e la cultura non riescono a pensare questo scenario. La società del consumismo che abbiamo voluto e prodotto non può rispondere a questo cambiamento. È ancorata a vecchi schemi che non prevedono un peggioramento generale delle condizioni economiche. Pena il disorientamento, il rimpianto dei tempi andati, la catastrofe esistenziale.

Di converso emerge sempre di più il bisogno di relazioni, soprattutto nelle giovani generazioni. I ragazzi le trovano suonando musica, organizzando feste, passando il tempo sui social network. Appunto per soddisfare una fame di incontro e di mutuo riconoscimento che le velocissime e personalizzate comunicazioni online non fanno altro che aumentare. La musica, il divertimento, le nuove tecnologie, a volte persino lo sport rischiano di diventare il vero oppio per intere generazioni del mondo occidentale ricco: si rischia che il consumismo delle opportunità distrugga i veri desideri che sentono i giovani. Che hanno bisogno di esserci, di pensare al futuro al di là dell’esistenza “precaria e precariata” a cui sono abituati adesso. Per il momento occorre uscire dal cono d’ombra in cui sono finiti. Svecchiare l’Italia, il paese dove, se va bene, comandano i sessantenni.

I ragazzi più attenti hanno capito che proprio sul tema della costruzione di una nuova identità globale, non più etnocentrica, si giocherà il futuro. I giovani cercano di capire, e non è un caso che in Norvegia il terrore si è accanito su militanti di un partito che cerca di interpretare in positivo il presente. Si indignano, come in Spagna. Manifestano, vogliono essere protagonisti della loro vita. Ma in maniera ancora troppo confusa. Si propongono riforme politiche irrealizzabili, ricette economiche favolistiche e poco credibili (anche se tutto è meglio del dominio della finanza speculativa). Altre volte si vola troppo basso, puntando a prolungare una movida che sembra finire sul più bello, a mezzanotte, come nella favola di Cenerentola.

Ma la vita è una questione troppo seria, drammaticamente troppo seria per lasciarsi sballottare dalla logica del divertimento. Vivere consapevolmente diventa la capacità di affrontare la nuova, complessa e difficile fase della storia che stiamo affrontando. Perché alla fine soltanto i giovani hanno la forza per girare pagina.

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