«Il G8 di Genova? Sembra Tunisi Ma da noi la violenza è quotidiana»

I GIOVANI PALESTINESI E MAGHREBINI
Una blogger da Gaza: non pensavamo di vedere scene del genere in Italia

I GIOVANI PALESTINESI E MAGHREBINI
Una blogger da Gaza: non pensavamo di vedere scene del genere in Italia

 GENOVA.Sarà un caso, ma i «mediterranei» che hanno attraversato la mostra fotografica sugli eventi del 2001 si sono sentiti immediatamente a casa. Quei gruppi di giovani che corrono tra il fumo dei lacrimogeni e della polvere, a torso nudo o in canottiera, quel gesto di lanciare un sasso davanti ai fucili spianati, questi scudi e quegli elmetti da robocop, il sole e il sangue sull’asfalto; quella è la loro quotidianeità.

Majd Abusalama, giovane e altissima blogger palestinese di Gaza, ha visto «tante foto chi mi hanno colpita nel profondo; non riuscivo a credere che anche in Italia accadono cose del genere». E soprattutto «Carlo è come tanti ragazzi palestinesi che così spesso vengono uccisi dall’esercito israeliano». Ma le immagini rimandano anche a una condizione. «Anche a Gaza per noi è difficile ottenere qualcosa in risposta ai nostri bisogni; quando ci opponiamo in modo pacifico, portando bandiere palestinesi e bianche, i soldati israeliani non raccolgono il messaggio e sparano». Una costrizione che introverte spesso anche le tensioni: «Manifestando contro l’occupazione abbiamo fatto una piccola rivoluzione superando la divisione tra Hamas e Fatah; ma c’è stato qualche caso in cui è stata la polizia di Hamas a intervenire, eppure noi chedevamo solo unità».
Impossibile non cogliere le analogie. Walid Kaabi, delegato sindacale in una fabbrica metalmeccanica in Tunisia, sente «la stessa atmosfera di Tunisi, quando partecipiamo alle tante assemblee contro il governo, sotto il ministero dell’interno». Qui a Genova però vede almeno una differenza: «Oggi non ci sono aggressioni da parte della polizia, da noi quasi sempre». Ma anche se c’è distanza di tempo e spazio, «Carlo lo vedo come un militante della rivoluzione tunisina». La narrazione della repressione di un movimento di massa sembra sempre uguale. Eppure, parlando con questi e altri ragazzi ora in piazza Alimonda, si vede meglio la novità rivelatasi dieci anni fa. Guardi il muraglione della ferrovia su via Tolemaide, a 50 metri. Rivedi quella fiumana che scendeva ancora pacifica lungo la strada e che viene attaccata da tutti i lati da polizia, carabinieri, finanza. Come fa un esercito d’occupazione o di una dittatura polverosa che non vuole andarsene.
Lì, dieci anni fa, come pochi mesi prima a Napoli (una sorta di «prova tecnica», condotta quando però a Palazzo Chigi c’era ancora il centrosinistra), per la prima volta un corteo veniva caricato senza lasciare la consueta «via di fuga». Che è una regola di mantenimento dell’ordine pubblico, non un «regalo» ai manifestanti. Si dà loro la possibilità di fuggire per «decongestionare» la presenza in piazza, «scremare» la parte più convinta da quella che si spaventa prima, riprendere il controllo del terreno. La politica più antica del mondo. Se invece si «chiude la tonnara» – come avvenne a via Tolemaide – è inevitabile che la semplice compressione dei corpi generi una reazione, magari a metà strada tra il panico, la rabbia e la disperazione. Sembra di vederlo quel blocco di manifestanti riuscire a sfondare i cordoni di polizia in direzione di questa piccola e tranquilla piazza. Il resto lo si è visto fin troppe volte nelle immagini.
Questi «mediterranei» riconoscono anche questa modalità repressiva, la provano sulla propria pelle tutti i giorni. Dittatura e occupanti guardano alla protesta come il venire allo scoperto di un nemico mortale, non di un malessere sociale; una presenza «aliena», non un sussulto del proprio stesso popolo. Il messaggio che l’attacco in stile militare al corteo vuole in questo caso lanciare non è «state a casa» oppure «smettete di opporvi», ma «voi non dovete esistere». Che anche un paese democratico abbia ceduto (e, dalle promozioni concesse ai comandanti di piazza, non se n’è pentito) a questa prassi dovrebbe preoccupare tutti. O no?

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