Franco, la storia scritta dai nipoti

Sono i romanzi a raccontare la guerra che insanguinò la Spagna

Sono i romanzi a raccontare la guerra che insanguinò la Spagna

MADRID — Tre quarti di secolo ancora non bastano. A 75 anni esatti dall’inizio della guerra civile, in Spagna si preferisce raccontare la storia attraverso le storie: vere, più spesso romanzate, quasi sempre diluite dalla fantasia e dalla minor animosità di chi, quel giorno, non c’era. Non era ancora nato, non fu testimone del fratricidio e non fu costretto a schierarsi. La riconciliazione, se c’è stata, ha imposto un prezzo non trattabile: oblio e silenzio. Prima per evitare ritorsioni, durante il regime tirannico di Francisco Franco, e poi per facilitare la transizione verso la democrazia, alla morte del dittatore, nel 1975, quasi quarant’anni dopo. E infine per quella perdurante minaccia, rivestita di propositi pacifici: meglio non riaprire certe ferite, meglio dimenticare, perché di atrocità ne sono state commesse da ambo i lati. Ma da qualche anno una generazione, relativamente giovane, di scrittori si sta assumendo il compito di narrare ciò che gran parte della precedente non ha voluto svelare. Per avventurarsi nel territorio comanche del passato prossimo spagnolo, però, è consigliabile avere le spalle larghe di un autore già affermato. Come Eduardo Mendoza, che ha vinto l’ultimo premio Planeta con la Riña de gatos («Battaglia di gatti» ), in cui racconta le avventure di un esperto d’arte inglese a Madrid, nella turbolenta primavera del 1936, sette anni prima che Mendoza nascesse (a Barcellona): «Non è un romanzo sulla guerra civile — ha precisato l’autore —, ma sentivo la necessità di abbordare il tema e collocarlo al suo posto» .
 Nella stessa impresa si è cimentato Antonio Muñoz Molina, 55 anni, con La notte dei tempi, il suo ventiduesimo romanzo (edito in Spagna da Seix Barral): la storia d’amore e incertezze di un architetto sorpreso dalla guerra, quel sabato 18 luglio del 1936, in una Madrid che l’autore può soltanto immaginare. Scordando la storia, per immedesimarsi nell’uomo qualunque che stava per viverla. Senza il senno di poi: «Non si capisce nulla di ciò che sta accadendo— ha concluso —. C’è solo un desiderio tremendo che la normalità non s’interrompa. I giornali spagnoli, nel luglio del 1936, parlavano dell’inizio delle vacanze, dei concorsi di bellezza, tutt’al più della guerra vittoriosa di Mussolini in Abissinia» .
Invece era l’inizio del lungo inverno spagnolo. Un gelido tempo di morte ed esilio, di vendette ed esecuzioni, di terribili segreti custoditi, a volte per tutta l’esistenza, nel Cuore di ghiaccio (Guanda), che un’altra autrice spagnola di calibro internazionale, Almudena Grandes, ha sbrinato con sofferenza e senza guadagnarsi molte simpatie, ma determinata a districare «il grande nodo della mia generazione: la memoria» . Dieci anni fa, il giovane Javier Cercas, allora nemmeno quarantenne, aveva dimostrato che era possibile smantellare l’omertà collettiva con Soldati di Salamina (Guanda), una minuziosa indagine per interposta persona su uno dei fondatori della Falange, Rafael Sanchez-Mazas, e sull’anonimo miliziano che gli risparmiò la vita nelle ultime settimane della guerra con un finale conciliante e quasi distensivo sulla possibilità di maneggiare letterariamente il pesante fardello postbellico senza rischi di esplosioni ideologiche. Ma non è stato facile aggirare i tabù: in Dimmi chi sono (Mondadori), Julia Navarro ricorre allo stratagemma di un’indagine famigliare sulla sorte della bisnonna Amelia, fuggita per amore alla vigilia del conflitto.
 La non improbabile passione fra una donna ben maritata e un rivoluzionario, le loro peregrinazioni per l’Europa, all’ombra dei più feroci eventi del XX secolo, sono il pretesto per la ricerca della propria identità, di un passato presentabile, decoroso, o addirittura degno di orgoglio.
Deve essere un desiderio condiviso da molti spagnoli, a giudicare dal successo di vendite (un milione di copie) di una delle poche debuttanti che s’incontrano nella sempre più ampia narrativa dedicata a questo periodo, Maria Dueñas. La notte ha cambiato rumore (Mondadori) è un altro esempio ben riuscito di come, intrecciando sentimenti e vicende personali con fatti storici ed epocali, si possa dare un senso a qualunque scelta: quella di chi fugge e quella di chi resta, nella Spagna degli anni Trenta; quella di chi resiste e quella di chi collabora, nei cupi tempi successivi. O perfino a quella di chi cambia bando, perché le urgenze quotidiane sono più forti delle ideologie: come Juan Castro Pérez, lo stalliere immaginato nel romanzo La mula (Baldini Castoldi Dalai) da Juan Eslava Galán, che si è ispirato alle peripezie del padre per raccontare la storia semplice di un contadino in fuga dalla guerra con Valentina, mula sbandata tra le linee nemiche.
Funziona comunque anche il procedimento opposto: scegliere un personaggio minore, realmente esistito, e trasformarlo in un eroe da romanzo. Come ha fatto Alicia Giménez-Bartlett con la «pastora» : né uomo né donna, o forse entrambi, sanguinaria fuorilegge per l’autorità costituita e leggendaria patriota per la resistenza, il mito di Teresa Plá Meseguer attira l’autrice catalana, già famosa per i suoi polizieschi, negli anfratti della storia degli anni Cinquanta, dei misteri e delle montagne dove la Guardia Civil impiegò tutta la ferocia possibile per tentare di stanarla. Dove nessuno ti troverà (Sellerio), al capolinea della solitudine e di una poco edificante pagina di storia. Ma certamente non l’ultima. Quel che non hanno osato chiedere i figli, scriveranno i nipoti.

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