L’autopsia senza perito di parte Un solo colpo e il giallo del sasso

L’inchiesta/ LA PALLOTTOLA DEVIATA

L’inchiesta/ LA PALLOTTOLA DEVIATA

Livi è la quarta persona ad arrivare accanto al corpo di Carlo Giuliani. E ci arriva prima delle forze di polizia. Quel secondo foro da proiettile che Livi avrebbe visto sulla testa del manifestante contraddice l’autopsia realizzata all’obitorio dell’ospedale Galliera il 21 luglio da Marco Salvi e Marcello Canale. Un’autopsia realizzata, ricordiamo, senza alcun perito di parte. Un’autopsia che diceva che c’era un foro nella parte sinistra del viso, sotto l’occhio, di 0,8 per 1 centimetro «riferibile ad un colpo d’arma da fuoco», che il proiettile era fuoriuscito dietro con un’inclinazione di 15 gradi e poco altro. Stranamente non viene estratto e analizzato un frammento metallico visibile nella Tac. Inoltre l’analisi fu consegnata a magistrati ed avvocati solo il 6 novembre 2001. Troppo tardi per fare altre analisi. Il corpo era già stato cremato col benestare anche della procura.
Il magistrato che indagava sull’omicidio, il pm Silvio Franz, fece fare alcune perizie su bossoli e pistole sequestrate con risultati alquanto contraddittori in merito alla compatibilità tra proiettili e armi e alla distanza fra il manifestante e la pistola. Il 21 aprile 2002 ci fu una discovery: fu riportato in piazza il defender con un figurante della corporatura di Giuliani, ma nessun attore per i tre carabinieri che sarebbero stati a bordo della jeep. In quell’occasione fu trovato, sulla facciata della chiesa Santa Maria del soccorso, il foro di un altro proiettile, il secondo a detta dei consulenti della procura (Paolo Romanini, Pietro Benedetti, Carlo Torre e Nello Balossino). I quattro elaborarono una complessa ricostruzione secondo la quale il proiettile sparato dalla jeep sarebbe stato deviato verso terra da un sasso e quindi avrebbe attinto Giuliani in volo. Questo serviva a spiegare come mai il proiettile causò un foro maggiore in entrata e uno più piccolo in uscita, come fosse stato rallentato da qualcosa. L’11 giugno 2002, prima di entrare in procura a consegnare la versione del sasso volante, uno dei periti balistici ci disse «con questa perizia ci riderà dietro mezza Italia». La frase venne pubblicata su ilnuovo.it e non ci furono smentite. I periti dei Giuliani ipotizzarono invece che il proiettile fosse stato inciso per avere un effetto ancora peggiore e quindi abbia rilasciato dei frammenti di metallo, una tecnica da guerra più che da ordine di piazza. Morale, il processo non si fece. Placanica fu prosciolto dall’accusa di omicidio in quanto avrebbe agito per legittima difesa e il fascicolo fu archiviato il 5 maggio 2003.
Di piazza Alimonda si tornò a parlare al processo per devastazione e saccheggio che vedeva imputati 25 manifestanti (15 sono stati condannati in appello nel 2009 a quasi 100 anni di carcere). La tesi dei familiari è che qualcuno abbia infierito sul cadavere del figlio ormai a terra per suffragare l’ipotesi della morte “per sasso” come si vede da numerosi fotogrammi. Ma nessuno delle forze di polizia chiamate a testimoniare ha confermato qualcosa. Intanto a gettare altri dubbi sull’inchiesta, c’è stata una contro-inchiesta di Indymedia che ha trovato riscontri sulla presenza di alti gradi dei carabinieri che salgono e scendono dalla jeep quel giorno. Sempre al processo contro i 25 venne sentito nell’ottobre del 2005 anche uno dei medici dell’autopsia, Marco Salvi, che dichiarò: «La penso come quattro anni fa. Non ho cambiato idea. Carlo Giuliani fu ucciso da un colpo diretto. Il proiettile non fu deviato». Come verità, complessivamente, fa acqua da tutte le parti.

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