Ho incontrato Ines Rossi poco prima della sua morte. Era una delle vedove di Cervarolo (frazione di Villa Minozzo sull’Appennino reggiano), i nazisti della Divisione Hermann Goering, assieme alla GNR (Guardia Nazionale Repubblicana), il 20 marzo à44, le trucidarono il marito Pio e il suocero Gaetano Paini, con altri 22 compaesani.
Ho incontrato Ines Rossi poco prima della sua morte. Era una delle vedove di Cervarolo (frazione di Villa Minozzo sull’Appennino reggiano), i nazisti della Divisione Hermann Goering, assieme alla GNR (Guardia Nazionale Repubblicana), il 20 marzo à44, le trucidarono il marito Pio e il suocero Gaetano Paini, con altri 22 compaesani.
All’alba del 20 marzo i tedeschi avevano già piazzato mitragliatrici nei punti strategici, mentre le camicie nere si erano disposte intorno al villaggio bloccando i principali punti di passaggio. I primi a morire furono Ennio e Lino Costi, padre e figlio, uccisi nella loro abitazione, poi iniziò il rastrellamento casa per casa. Tutti gli uomini furono condotti al centro del borgo. Alle 18 i militari diedero fuoco alle case, contemporaneamente le mitragliatrici spararono sui prigionieri, mentre donne e bambini vennero spinti verso valle. Il comandante tedesco nel suo rapporto scrive di un “combattimento contro le bande partigiane della zona, di aver trovato, in tutte le abitazioni tracce di componenti delle bande, nel 50% delle case anche armi e munizioni”.
IL COLONNELLO Onorato, capo delle truppe fasciste, in un fonogramma scrive: “Rappresaglia nei confronti di abitanti e popolazioni delle frazioni Cervarolo-Civago, responsabili di favoreggiamento e omertà riguardo banda partigiana”. Nei 695 fascicoli “archiviati provvisoriamente” nel famoso “armadio della vergogna”, scoperto solo nel 94, c’è scritto tutto sulle stragi compreso i nomi degli assassini. L’intento dei governi, dal dopo guerra ad oggi, è stato quello di occultare. L’Italia ha privilegiato gli interessi economici con la Germania, a scapito della verità. A proposito della sentenza di Verona, Massimo Fini, sul Fatto Quotidiano, ha affermato che “non si erano mai visti nella Storia processi celebrati a settant’anni di distanza dai fatti, tanto meno per i crimini di guerra”, concludendo così l’articolo: “Il fatto è che il processo di Verona contro dei fantasmi più che il sapore della giustizia ha quello amaro della rappresaglia. Proprio quella rappresaglia in nome della quale, tante volte, abbiamo condannato i nazisti”. Leggendo queste parole ho provato la stessa indignazione quando alcuni esponenti del Pdl presentarono al Senato un disegno di legge per abolire la norma che vieta l’apologia di fascismo. Se nelle città vediamo, appesi ai muri, i manifesti squadristi di Forza Nuova, se picchiatori fascisti siedono sui banchi del Parlamento, se il generale dei Carabinieri D’Elia, che ha svolto le indagini sulle stragi, è costretto a vivere sotto scorta perché minacciato di morte: “Balleremo sul tuo corpo e su quello dei tuoi collaboratori”, è colpa della morale (falsa), che si sta diffondendo sempre più, che invita, in nome “di chi uccise e chi no”, a dimenticare i fatti, permettendo l’alterazione della Storia. Fini tenta di dare una giustificazione alle stragi affermando che i tedeschi erano “incarogniti per i tradimento dell’alleato italiano… mentre si lottava per la vita o la morte, li aveva pugnalati alle spalle passando dalla parte dei probabili vincitori…”. E le camicie nere presenti? Nessuno chiede per i 7 tedeschi (che in questi 67 anni hanno vissuto come se nulla fosse accaduto, rimanendo sempre in contatto tra loro, ci sono le intercettazioni telefoniche che lo provano), la galera, lo vieta la legge, ma il marchio di assassini sì.
LA SENTENZA del 6 luglio è importante anche perché condanna la Germania al risarcimento (22 milioni di euro) dei familiari delle vittime in qualità di “responsabile civile dei fatti”, affermando un principio che potrebbe essere fondamentale per la via alla pace: i diritti umani sono più importanti dell’immunità di uno Stato. La sentenza però non può essere esecutiva, grazie al governo Berlusconi che, prima si costituisce parte civile, poi crea un decreto legge che consente di bloccare il risarcimento quando uno Stato, in questo caso la Germania, si rivolge alla Corte di Giustizia dell’Aja a nome dell’immunità. Fini confonde giustizia con giustizialismo. Il dispositivo di sentenza condanna in primo grado i nazisti all’ergastolo per “concorso in violenza con omicidio contro privati nemici aggravata continuata… per aver commesso il fatto per motivi abietti, adoperando sevizie e crudeltà verso le vittime”. Il giudice applicando l’articolo 61 del Codice Penale ha reso il reato non prescrivibile . Alla domanda di Enzo Biagi sul perché di quelle stragi, il feldmaresciallo Kesselring, che comandò la Campagna d’Italia, rispose: “I reparti di assalto possono compiere degli eccessi, essi hanno il dovere di vincere”. La guerra non giustifica mai una strage.
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