La genetica modificata del valore

Il cosiddetto biocapitalismo è uno straordinario laboratorio per comprendere il mutato rapporto tra materiale e immateriale, tra finanza e economia reale, tra informazione genetica e nuova divisione del lavoro. E che aiuta a svelare l’arcano della proprietà  intellettuale

Il cosiddetto biocapitalismo è uno straordinario laboratorio per comprendere il mutato rapporto tra materiale e immateriale, tra finanza e economia reale, tra informazione genetica e nuova divisione del lavoro. E che aiuta a svelare l’arcano della proprietà  intellettuale

 Brevetti sulla mappatura del Dna, pirateria nei confronti della biodiversità. È attraverso questa griglia analitica che, spesso, viene analizzato il «biocapitale», nuova frontiera, come spesso sostenuto in molti, del capitalismo, dopo la perdita della spinta propulsiva del silicio e della Rete, subentrati all’acciaio e alla plastica nel garantire lo sviluppo economico. Letture che colgono alcuni elementi, ma che se isolati possono essere fuorvianti.. La critica alla proprietà intellettuali assume, infatti, spesso le tonalità etiche di chi, inorridito, si ritrae di fronte a enclosures che, oltre la conoscenza socialmente prodotta, invade la vita. Un rigetto etico che viene esteso anche alla biopirateria, vista come rapina da parte delle multinazionali di quel sapere ancestrale e prodotti della Terra che i popoli del Sud del mondo hanno salvaguardato per secoli, se non per millenni.. Dimenticando così che l’espropriazione è uno dei fattori immanenti la produzione capitalistica, come più volte ha sottolineato il geografo David Harvey nella sua Breve storia del neoliberismo (Il Saggiatore) e nel recente L’enigma del capitale (Feltrinelli). E tuttavia biocapitale è molto più di tutto ciò.

In primo luogo va sgomberato il fatto che le biotecnologia e la manipolazione genetica possano svolgere lo stesso ruolo avuto, ad esempio dall’automobile, nello sviluppo capitalistico. Con pacato realismo, va affermato che il capitalismo non ha più un settore «egemonico» rispetto ad un altro. Quando il sapere e la conoscenza diventano materie produttive e fattore imprescindibile di ogni attività innovativa, tutti i settori produttivi ne sono coinvolti. Assunto che conduce l’analisi e la critica alla proprietà intellettuale sul terreno della produzione e circolazione del sapere. Cioè alla sua valorizzazione capitalistica. e che svela l’arcano dell’assenza di un settore centrale nell’attività economica.. E tuttavia il «biocapitale» può essere inteso come un laboratorio dei contemporanei rapporti sociali di produzione. Come emerge dal volume Biocapitale. Vita e corpi nell’era del controllo biologico (Ombre corte) nei settori delle biotecnologie e della manipolazione genetica della materia vivente sono inanellati, uno dopo l’altro, tutti gli aspetti del capitalismo contemporaneo, a partire dal rapporto tra materiale e immateriale, tra lavoro vivo e lavoro morto.
Infatti, al di là di una lettura deterministica, tra materiale e immateriale più che contraddizione c’è contiguità, perché le sequenze del Dna e la loro trasformazione in informazione hanno radici nei corpi di uomini e donne, ma anche in semi e altri animali viventi. Allo stesso tempo, sono settori in cui il lavoro morto, cioè le macchine, ha ben poco la caratteristica di un residuo che se non intervenisse il lavoro vivo dei ricercatori rimarrebbe inerte. Nel biocapitale tra lavoro vivo e lavoro morto emerge una interdipendenza, un double bind che rende il primo appendice del secondo per poi, invertire la sequenza e far diventare le macchine appendice del lavoro di decrittazione e formalizzazione del lavoro di ricerca. Da questo punto di vista, l’analisi sull’uso capitalistico delle macchine non può che contemplare, nuovamente, il modo di produzione del sapere en general.
La mappatura del Dna dei viventi, infatti, ha come habitat la cooperazione sociali, sia nelle forme di vita che assume, sia nell’intelligenza collettiva che esprime. Da questo punto di vista, il biocapitale costringe a misurarsi con il nodo della forma-impresa e con il legame con la finanza. È noto che una delle forme di finanziamento delle imprese biotecnologiche è il cosiddetto capital venture e la borsa. E se il primo coinvolge anche i fondi pensione (cioè salario differito), il secondo aspetto a che fare con quel fenomeno che assegna alla borsa un ruolo niente affatto parassitario. In altri termini, e in entrambi i casi, siamo ben lontani alla vecchia immagine del rentier nemico della produzione.
Ma il decalogo dei motivi della rilevanza analitica del biocapitale non può ignorare un altro aspetto, ben evidente nel volume qui presentato. Quello delle tecnologie del controllo sociale. La mappatura del dna umano e la sua traduzione in informazione non è solo il primo passo per la valorizzazione capitalistica, ma anche come primo passo per controllare singoli e popolazioni. Leggere di come le informazioni individuali o di una «popolazione» sono usate per «disciplinare» il comportamento dei singoli e collettivi evoca ovviamente le riflessioni di Michel Foucault sulle tecnologie del sé o della «società di controllo» di Gilles Deleuze, ma anche quelle intense pagine del primo libro del Capitale di Karl Marx o de «La situazione della classe operaia inglese» di Friedrich Engels dove venivano descritto minuziosamente il disciplinamento dei corpi che la fabbrica comportava. Per omologia, anche la mappatura del dina umano comporta forme disciplinari per la vita dei singoli e delle collettività.
Il libro di Mauro Turrini ha l’indubbio pregio di offrire materiali e riflessioni che aiutano a comporre il puzzle di una discussione molto ricca e i cui echi in Italia sono stati finora molto flebili. Einaudi ha pubblicato l’importante saggio di Nikolas Rose La politica della vita, altri editori hanno pubblicato i contributi di studiosi e attivisti come Vandana Shiva, mentre studiosi italiani come Stefano Rodotà hanno più volte sottolineato il problema di privacy e di rischi per la democrazia che sono dietro la traduzione in informazioni «sensibili» del dna. E tuttavia sono solo tasselli di un puzzle ancora da comporre. Non solo per delineare il campo delle biotecnologie e di come influenzeranno l’assetto geoeconomico della «politica della vita» in cui collocare anche l’industria farmaceutica. Più importante, e che costituisce un vero e proprio laboratorio di ricerca, di come la comprensione del biocapitale può fornire strumenti utili per avviare quell’opera di comprensione critica del capitalismo.

0 comments

Leave a Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Sign In

Reset Your Password