L’utopia concreta del partire da sé

Uomini e donne in dialogo con Rossana Rossanda. Un libro per Il Poligrafo

Uomini e donne in dialogo con Rossana Rossanda. Un libro per Il Poligrafo

 Incontrare la parola «utopia» risuona di questi tempi quantomeno dissonante ed eccentrico, e non stupisce di incontrarla accostata a «donne e politica», tanto più se declinata in forma di omaggio pubblico a Rossana Rossanda in un convegno che si è tenuto a Padova il 14-15 maggio 2010 e che vede oggi la stampa per le cure di Alisa Del Re, che l’ha promosso e organizzato (Donne politica utopia, Il Poligrafo, pp. 224, euro 18.40). È sempre stata al centro del discorso di Rossana Rossanda l’interrogazione politica a partire dall’analisi del presente, interrogazione lucida, disincantata e forse proprio per questo rivolta all’utopia concreta del cambiamento, come ha raccontato ne La ragazza del secolo scorso, così come è sempre stata per lei tempestosa la relazione tra femminismo e politica.

Sentieri poco battuti
Rossanda ne ha scritto a più riprese in Le altre, edito nei saggi Bompiani nel 1979, che recava come sottotitolo: «Conversazioni a Radiotre sui rapporti tra donne e politica, libertà, fraternità, uguaglianza, democrazia, fascismo, resistenza, stato, partito, rivoluzione, femminismo» ed era già tutto un programma. Anche per me, pubblicato nel 1987, ha come sottotitolo «Donna, persona, memoria dal 1973 al 1986» e segna un passaggio irrisolto di quella tempestosa relazione, messa al centro di questo convegno che ha il merito di affrontarla attraverso vari percorsi, sentieri, tracciati a volte desueti, e di farlo con un notevole grado di schiettezza che percorre i vari interventi, da Lea Melandri a Geneviève Frasse, Luciana Castellina, Etienne Balibar, Rada Ivekovic.
Molte le questioni, centrale quella posta dallo stesso intervento di Rossana Rossanda che con chiarezza si chiede: che cosa impedisce alle donne di metter mano decisamente sui meccanismi della comunità politica? E ancora: dalla caduta della figura interdittiva del padre non dovrebbe derivare un impegno del femminismo nella teoria e nella pratica della sfera politica? Le fa eco, consonante e dissonante al tempo stesso, Mario Tronti che mette a sintesi la seguente formulazione: «Voi dite che la rivoluzione femminile è l’unica rivoluzione riuscita del Novecento; io dico che la rivoluzione femminile è una delle rivoluzioni fallite del Novecento».
Vorrei concentrarmi sostanzialmente su questo nodo, che ovviamente non riesce ad aprire all’utopia, perché se è l’utopia ciò che preme a tutti, ovvero la possibilità di un cambiamento radicale, essa sembra rimanere, sulla scorta di queste osservazioni caustiche e domande severe, fuori campo. Mi faccio accompagnare nella riflessione da quanto scrivono Maria Luisa Boccia e Ida Dominijanni e dalla stessa Rossana Rossanda.
Maria Luisa Boccia scrive di un discorso sulle donne che durante il «Berlusconi-gate», attraverso una operazione politico-mediatica, ha rovesciato su di esse un filo inedito di misoginia, attribuendo al loro presunto silenzio la responsabilità dello stato delle cose. Il che, è vero, è quanto meno curioso, visto che la stessa manifestazione «se non ora quando» è potuta avvenire grazie agli oltre quaranta anni di esercizio di pratiche di libertà femminile con al centro la parola «io sono una donna».
Genealogie dle presente
È qualcosa ormai di indiscusso e non più sussumibile alla definizione di «persona»: nessuna donna giovane, giovanissima, di media età e oltre oggi si definisce altrimenti. Lo può fare con orgoglio o con trascuratezza, con indifferenza o con determinazione, con consapevolezza o meno, non è questo il punto: nel corso di questi anni le donne sono divenute un soggetto che ha preso parola e che la prende continuamente, nelle assemblee di studenti come nei movimenti per i beni comuni, nelle lotte sul territorio come per l’acqua, per la casa. Non lo si fa ogni volta affermando «in quanto donne» il proprio punto di vista, ma essendo donne sì, ed è qualcosa di impensabile fino a non molti anni fa.
Così come impensabile era fino a non molto tempo fa quella continua creazione di sé che è in corso per parte di donne, che è politica perché interroga le questioni profonde del vivere quotidiano, dal desiderio a partire da un corpo che è sessuato, sia esso trans o queer, maschile o femminile, per arrivare al lavoro come allo studio, a ciò che si ritiene necessario e importante per sé e per gli altri, ovvero l’acqua, l’ambiente, il lavoro, la qualità della vita, dello studio, della conoscenza. E che ha portato nei modi più diversi in piazza e in assemblea, in occupazioni e in cortei, in coordinamenti e collettivi donne e uomini a protestare con continuità nel corso di questi anni senza mai smettere, ottenendo molto poco, si potrebbe dire nulla se non ci fossero oggi Milano e Napoli, Cagliari e Olbia, i referendum sull’acqua e sul nucleare, che non nascono dal niente ma da questo ampio e mai interrotto discorso. Attraversando tutte, dico tutte le questioni che riguardano l’umano oggi, e quindi la politica, certo non il politico, così come lo declina Tronti nella sua provocazione, a sua volta pressata dall’urgenza di un’utopia concreta.
Ne scrive Balibar nel suo saggio definendola «l’utopia che si materializza nell’immediatezza del presente invece di proiettarsi nell’avvenire o di pensarsi come un’anticipazione», al punto di arrivare alla conclusione secondo cui si potrebbe dire che il femminismo è divenuto la risorsa utopica del comunismo storico, che pure lo ha respinto. Per me ha la valenza di utopia concreta, che è quanto di più paradossale per un termine come utopia, perché ritengo che rivoluzione per parte di donne vi sia stata e sia tuttora in corso e che essa abbia attraversato la vita quotidiana e concreta di tutti i giorni, a partire dall’autodeterminazione rispetto al proprio corpo.
La metafisica del politico
È una modalità delle donne di stare al mondo che è per lo più resistente alle maglie del potere, proprio perché è invece dalla parte della politica, come scrive Ida Dominijanni: «per riscriverla, per aprirla, per politicizzare cose considerate politicamente irrilevanti». Una modalità che è molto esigente rispetto alla politica e alle sue reali possibilità di cambiamento, di rispondenza alle domande di modificazione profonda del mondo e delle pratiche sociali. Non altrettanto è stato fatto da ciò che Tronti definisce il politico, che ancora si rappresenta come astratto, disincarnato, metafisico, incomunicante, anche quando usa le parole migliori, perché non parla a partire dai soggetti, ma da posizione neutra, ancora ritenuta universale e che rischia, come nelle stesse parole di Balibar, di guardare al pensiero e al modo di stare al mondo delle donne come a una risorsa utopica «altra» perché non è capace di pensare utopia a partire da sé.
Se nel 1987 Rossana Rossanda scriveva nella introduzione a Anche per me che «la parola politica, perduto il fascino di chiave di un altro mondo da penetrare, s’è fatta tecnica come le altre e se ne vanta», a quindici e oltre anni di distanza il discorso è diventato altro, o almeno in modo certo non tecnico risuona sulle labbra delle donne e uomini che ad esempio occupano il teatro Valle a Roma, avocando a sé la parola politica a facendone impasto fuso con la propria vita, desiderando altre vite possibili, altri mondi, utopie concrete oggi e subito. Si tratta di forme della politica che molto devono alle donne che in essa si impegnano e che fanno di tutto questo mondo: forse non è la comunità politica cui pensa Rossana Rossanda, ma molto sta facendo per costituirsi come tale, e lo fa con coraggio, con determinazione, con infinita tenacia e pazienza quale è quella che parte dalle proprie vite perché, come diceva Carla Lonzi, sono già politica.

0 comments

Leave a Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Sign In

Reset Your Password