Così Majakovskij insegna la felicità  agli adolescenti

«Cà è chi il suo Majakovskij lo trova nel rifiuto di una società  che pensa solo al denaro, e chi invece nella visione che il poeta aveva del lavoro, un inferno dove nessuno può sentirsi sicuro. Ma su una cosa siamo tutti d’accordo, la tempesta che lui sentiva nell’aria è la stessa che tutti noi viviamo ora» .

«Cà è chi il suo Majakovskij lo trova nel rifiuto di una società  che pensa solo al denaro, e chi invece nella visione che il poeta aveva del lavoro, un inferno dove nessuno può sentirsi sicuro. Ma su una cosa siamo tutti d’accordo, la tempesta che lui sentiva nell’aria è la stessa che tutti noi viviamo ora» .
L’anima del grande scrittore russo torna a vibrare oggi nelle vene ribollenti di duecento adolescenti provenienti da tutto il mondo per Eresia della felicità, la creazione a cielo aperto diretta da Marco Martinelli direttore quest’anno, con Ermanna Montanari, del Festival di S. Arcangelo. Un rito collettivo che si compie ogni giorno (fino al 17 luglio) nello Sferisterio della cittadella romagnola, un laboratorio permanente con «tribù» di ragazzi provenienti dalle periferie del mondo, dal Brasile al Senegal, dagli Stati Uniti al Belgio, e poi Napoli Scampia, Ravenna, S. Arcangelo e Seneghe, un paesino di duemila persone in provincia di Oristano. È il plotone in maglietta gialla dei ragazzi della Non-Scuola fondata dal Teatro delle Albe, un percorso teatral-pedagogico internazionale dove la coralità, l’improvvisazione e la visionarietà sono le parole chiave.
Ogni gruppo ha scelto di lavorare su opere diverse dell’artista, dal Mistero Buffo, a La Cimice, fino al suo primo testo teatrale scritto non ancora ventenne, Vladimir Majakovskij. Un’opera visionaria senza trama, né personaggi, tutta centrata su quella tempesta che è nell’aria, la Rivoluzione d’ottobre che deve ancora arrivare. Versi ribelli, scritti da un adolescente all’inizio del Novecento che oggi diventano armi per dichiarare lo stesso bisogno di felicità di tutti i tempi. «Un urgenza reale e concreta, come le sue parole — sottolinea Martinelli —, qui non c’è spazio per l’ideologia, si parla di anima e di carne: le sue poesie sono colpi al cuore. I ragazzi le riconoscono, perché le sentono nelle loro vene» . Kingsley Ngadiouba, (18 anni) bolognese di origine nigeriana: «Il Paradiso di Majakovskij è una pace vera: anch’io come lui dico, non datemi parole, ma fatti; la felicità sta nel realizzare i propri sogni, per me significa andare all’università e studiare geologia, per capire come si muove la terra sotto i nostri piedi» .
Dalla Sardegna, Enrico Porcedda, aspirante teologo-sacerdote, afferma: «Traducendo le poesie di Majakovskij in dialetto ho capito meglio il suo pensiero e i miei sogni. Ciò che desidero di più al mondo è aiutare gli altri. La spiritualità mi darà la forza di staccarmi da questo mondo dove sembra che conti solo l’apparenza e il denaro» . Un Majakovskij adolescente, ribelle, anarchico, e necessariamente folle: «I suoi versi rispecchiano la disperazione di tanti giovani di oggi» dice sicura Rufine Godbille (18enne di Mons, Belgio); e se il conformismo può spingere all’esasperazione, da donna so bene che la trappola è ancora più pericolosa, lo sguardo maschile non ci deve condizionare» . Un coro multietnico di parole, forme, gesti e immagini in divenire, una festa pre-rivoluzione dove Majakovskij tra un verso e uno sberleffo afferma la sua contagiosa potenza .
 «Le angosce di chi abita vicino a una favela di Rio sono diverse da chi sta a Mazara del Vallo o a Ravenna— conclude Martinelli —, ma se andiamo a parlare di desideri e di buchi neri dell’anima, scopriamo di essere tutti appartenenti alla stessa civiltà umana» . Tra una nota dell’internazionale in russo e un tamburo africano, un passo di tip tap e un verso lirico, qui a S. Arcangelo in questi giorni sembra che la Tempesta, surreale e gioiosa, sia ogni giorno più vicina.

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