Ex Jugoslavia, un’editoria in frammenti

EX PRESS
  Tempi duri, per l’editoria. E ancora più duri, se possibile, nei paesi dell’ex Jugoslavia, dove la crisi economica si incrocia perversamente con gli effetti di una frammentazione che ha smembrato un mercato un tempo relativamente florido.

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  Tempi duri, per l’editoria. E ancora più duri, se possibile, nei paesi dell’ex Jugoslavia, dove la crisi economica si incrocia perversamente con gli effetti di una frammentazione che ha smembrato un mercato un tempo relativamente florido. In una inchiesta molto interessante uscita sul «Frankfurter Rundschau», Norbert Mappes-Niediek descrive una situazione paradossale e tutt’altro che allegra. Come il caso dell’editore di Zagabria Nenad Popovic, la cui sigla Durieux (www.durieux.hr) ha lanciato alcuni dei nomi più interessanti della letteratura post-jugoslava contemporanea, da Miljenko Jergovic’ a Bora Cosic’ (entrambi pubblicati in Italia da Zandonai): «Prima – dice Popovic – eravamo abituati a misurare il successo di un libro dalle copie vendute, mentre oggi il nostro parametro è il numero di volumi presi in prestito in biblioteca». E aggiunge: «Se una libreria in Montenegro ordina due o tre libri dal mio catalogo, sono contento, ovviamente, ma per quei due o tre libri devo passare una giornata intera alla dogana per riempire decine di formulari». Eppure, precisa Mappes-Niediek, «tutti i tentativi messi in atto dai politici per erigere barriere linguistiche sono falliti: proprio come prima, serbi, croati, bosniaci e montenegrini formano una sola comunità linguistica (e dunque di lettori potenziali) composta da 15 o 16 milioni di persone». Una cifra che contrasta crudelmente con i dati di vendita: il maggior bestseller croato del 2008, Nas covjek na terenu («Il nostro uomo sul terreno») di Robert Perisic, ha venduto in tutto e per tutto 1.904 copie.
Che la lettura dei romanzi rosa non sia precisamente stimolante per lo sviluppo delle capacità intellettuali di un individuo, a qualsiasi genere esso (essa) appartenga, è un dato sul quale in molti (molte) potrebbero trovarsi d’accordo. Ma sarà giusto incolpare gli Harmony e simili anche per le gravidanze non desiderate e i fallimenti sentimentali? Lo scrive sull’ultimo numero del serissimo «Journal of Family Planning and Reproductive Health Care» (rivista accademica che rientra tra le pubblicazioni del British Medical Journal) una delle più celebri donneletizie inglesi, la psicologa Susan Quilliam: «Le persone che vediamo nei nostri consultori traggono con molta più probabilità le loro informazioni dai libri di Mills & Boon (casa editrice attiva dal 1908 e inserita ormai da quarant’anni nella galassia Harlequin, ndr) che dalla Family Planning Association». Per questo, aggiunge Quilliam, «la cosa più gentile e più saggia che possiamo fare per le nostre clienti è incoraggiarle a lasciar stare questi libri e ad affrontare la realtà». Riportando la notizia sul «Guardian», la giornalista Alison Flood non prende posizione e si limita ad affiancare le dichiarazioni della psicologa al comunicato di Mills & Boon: «La nostra casa editrice è sinonimo del genere romantico, che naturalmente è un modo attraente per sfuggire alla vita quotidiana e non una guida alla realtà. Le nostri lettrici sono abbastanza intelligenti da capire la differenza».

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