I dannati della terra persi nella spirale del manicomio

FRANTZ FANON Pubblicati gli scritti sulla psichiatria, molti dei quali inediti in Italia

Riflessioni che rivelano la loro attualità  nel mettere a fuoco le relazioni di potere tra terapeuta e paziente

FRANTZ FANON Pubblicati gli scritti sulla psichiatria, molti dei quali inediti in Italia

Riflessioni che rivelano la loro attualità  nel mettere a fuoco le relazioni di potere tra terapeuta e paziente
Frantz Fanon psichiatra. Non è solo una professione, la sua, esercitata per mantenersi mentre il cuore batte altrove, tutto preso nella questione coloniale, e tanto meno una copertura negli anni della cospirazione in Algeria. È un’altra questione, quella psichiatrica, nella quale è intensamente impegnato nei pochi anni della maturità, dal 1952, anno della laurea e della pubblicazione di Pelle nera maschere bianche, al 1961, anno della morte e della pubblicazione de I dannati della terra. E le due questioni, psichiatria e colonia, incessantemente si intrecciano in Fanon, rimandando l’una all’altra; due temi gemellari, per i biografi, che non possono essere considerati separatamente. Lo psichiatra è un doppio che vive con il rivoluzionario una condizione di scambio incessante. La centralità della questione dell’uomo, e delle relazioni tra gli uomini, nutre il suo esercizio di clinico e i suoi scritti politici, che abbondano di riferimenti propri dell’ambito medico e psichiatrico. Così come l’ansia di demistificazione e di liberazione che anima la sua attività politica è la stessa che avvertiamo nei suoi scritti di psichiatria.
Quella del nero non è mai solo un’esperienza, è immediatamente un’esperienza vissuta, sofferta. E forse proprio questo continuo intrecciarsi tra due dimensioni altrettanto importanti della sua persona ha contribuito a far sì che il Fanon politico, più noto, lasciasse per lo più in ombra lo psichiatra, sottraendo ai suoi cultori una parte importante della sua personalità, e alla storia della psichiatria un suo protagonista a pieno titolo. La pubblicazione in italiano, curata da Roberto Beneduce, dei suoi scritti psichiatrici (Decolonizzare la follia. Scritti sulla psichiatria coloniale, ombre corte, pp. 173, euro 16) rappresenta quindi un indispensabile complemento per chi voglia conoscerne il pensiero nella sua complessità. Costituisce una parte, finora mancante, di un insieme indivisibile.
Come psichiatra, Fanon si era formato a Saint-Alban, presso François Tosquelles, in quello che, in quegli anni, era considerato giustamente uno degli ambienti psichiatrici più avanzati e aperti al mondo, dove si stava sperimentando la socioterapia delle malattie mentali. In uno scritto del 1952, La sindrome nordafricana, sono già evidenti due elementi che rimarranno centrali nella sua ricerca: l’interesse per il rapporto tra psichiatria e questione coloniale, e la consapevolezza che non si può fare psichiatria mettendo tra parentesi le relazioni di potere nelle quali la sofferenza del paziente si manifesta. Un tema, questo, che ritornerà più potente nella famosa Lettera al ministro residente con cui Fanon lascerà l’Algeria nel 1957.
Il suo primo incarico lavorativo lo ebbe nel 1953, in un manicomio della Normandia, dove l’applicazione dei metodi liberali di cura che aveva appreso a Saint-Alban non fu molto apprezzata. Fu dunque costretto a lasciare l’incarico. Così, la seconda offerta di lavoro lo portò a Blida, il manicomio dell’Algeria francese, e segnò il suo destino. È lì che avrà modo di sperimentare la socioterapia e constatare, attraverso l’esperienza, che i metodi elaborati in Europa possono funzionare con soggetti di cultura europea, mentre possono fallire quando applicati a soggetti di altre culture. Si tratta di una scoperta che sarà confermata da altri saggi del periodo algerino, nella quale Beneduce individua il punto di svolta tra la vecchia etnopsichiatria e l’etnopsichiatria critica. Capace, la prima, di raggiungere le rappresentazioni grottesche dell’altro che Fanon illustra nel breve ma prezioso saggio apparso anonimo nel 1955, e qui reso disponibile per la prima volta. E caratterizzata invece, la seconda, dalla caduta del pregiudizio eurocentrico e della scotomizzazione dei rapporti di potere, cioè dall’aspirazione a decolonizzare, appunto, la follia.
Nel sottolineare giustamente l’importanza del contributo di Fanon nel campo etnopsichiatrico e nel riferire il suo lavoro psichiatrico alla questione della colonia, che ne costituisce certo il contesto, occorre però fare attenzione a non lasciare in ombra l’importanza che assumono, nella storia recente della psichiatria, anche altre sue rilevanti e ancora attuali osservazioni.
Il riferimento è alla Lettera al ministro residente – il cui tema centrale è già ravvisabile, appunto, in La sindrome nordafricana, di cinque anni precedente – che ebbe un ruolo importante nell’evoluzione della psichiatria italiana del successivo decennio. Essa fu infatti ripresa da Basaglia nel denunciare la scandalosa situazione manicomiale nella quale versava il nostro paese alla fine degli anni Sessanta, quando il manicomio italiano era diventato per lui un contesto nel quale, come aveva sostenuto Fanon per la colonia (e come ancora oggi, non dimentichiamolo, può accadere), la totale spogliazione di potere e dignità dell’altro impediva l’esercizio del lavoro medico e psichiatrico, imponendo, ancor prima sul piano scientifico che etico, la sua demistificazione.
Altrettanto significativo è il saggio del 1959, nel quale Fanon analizza la propria esperienza al day hospital neuropsichiatrico dell’ospedale civile di Tunisi. Qui, oggetto della sua critica è la socioterapia, e quindi la psichiatria del tempo nella sua massima modernità e apertura democratica, nella quale coglie molti limiti e rischi che oggi avvertiamo presenti nelle nuove istituzioni e nei modelli con i quali gli psichiatri lavorano. Certo, quelle di Fanon sono parole di uno psichiatra degli anni Cinquanta, ma capaci di cogliere i problemi che si venivano profilando e le sfide che ancora oggi rimangono di straordinaria attualità. Un saggio, come molti altri della raccolta, che chiunque sia in interessato alle questioni dell’assistenza psichiatrica dovrebbe senz’altro conoscere.

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