Quei corpi viventi oltre le sbarre

MICHEL FOUCAULT I saggi del filosofo francese su «L’emergenza delle prigioni»

Pubblicati gli scritti elaborati durante l’esperienza del Gip, il gruppo di inchiesta sul carcere come istituzione del controllo sociale. Uno straordinario affresco del lavoro di denuncia di un «intellettuale specifico»

MICHEL FOUCAULT I saggi del filosofo francese su «L’emergenza delle prigioni»

Pubblicati gli scritti elaborati durante l’esperienza del Gip, il gruppo di inchiesta sul carcere come istituzione del controllo sociale. Uno straordinario affresco del lavoro di denuncia di un «intellettuale specifico»
Collettore ideale delle innovazioni legislative dettate dalla repressione della marginalità sociale, il carcere è il dispositivo che alimenta il senso comune orgogliosamente sicuritario che le classi dirigenti di destra e di sinistra alimentano in maniera bipartisan. Solo pochi, e coraggiosi come Marco Pannella o l’Associazione Antigone, denunciano questa aberrazione, rinnovando la tradizione dei movimenti che, sin dai primi anni Settanta, fecero propria una verità: il carcere è un’istituzione che non serve al reinserimento del detenuto nella società, ma al suo definitivo collocamento sul mercato del crimine e alla produzione permanente dell’illegalità.
Se ancora oggi è questa la verità del potere carcerario, i contributi e gli articoli di Michel Foucault raccolti ne L’emergenza delle prigioni (La casa Usher, pp. 303, euro 24,50, con una prefazione di Dario Melossi e un’introduzione di Daniel Defert) contengono le argomentazioni originarie di ogni battaglia contro il carcere. Questi scritti sparsi, accompagnati da una serie di interviste straordinariamente intense, descrivono il funzionamento materiale e anonimo del sistema penitenziario, l’atroce spettacolo del non-diritto che avvolge l’esercizio di una giustizia che salva i potenti e punisce i deboli, la tolleranza dello Stato verso l’incuria degli avvocati e l’ignavia dei giudici. Formidabili esempi di militanza politica ed intellettuale, questi contributi prodotti negli anni della militanza nel Groupe Information Prison (Gip) fanno parte dello scavo genealogico condotto da Foucault sulla prigione che culminerà nella pubblicazione di Sorvegliare e Punire (Einaudi) nel 1975.
Tutto iniziò all’indomani del Maggio francese. La rivolta era rimasta fuori dalle prigioni, come dal Parlamento. In una delle sue giornate più calde, un detenuto della Santé annotò nel suo diario: «Oggi ho visto un ratto». Le condizioni di reclusione erano disumane, la persona ne usciva annientata. Il 27 maggio 1970, la decisione di Georges Pompidou di sciogliere la Gauche proletarienne, l’area politica di ispirazione maoista che beneficiò delle mobilitazioni del Sessantotto francese, obbligò migliaia persone alla clandestinità. L’attività politica, come la stessa diffusione del giornale La Cause du Peuple diretto da Jean-Paul Sartre, le azioni dirette contro le prigioni dove migliaia di militanti erano stati rinchiusi, sarebbero state condannate dai tribunali speciali.
Tra il 1971 e il 1972 furono 32 le rivolte dei detenuti contro la violenza carceraria. Per Foucault fu un vero «choc». In appoggio ai detenuti politici si formò quasi subito un movimento di sostegno, venne rifondato il «Soccorso Rosso», gli studenti moltiplicarono le manifestazioni di appoggio della lotta contro il carcere, le inchieste del Gip guidato da Foucault, insieme a Gilles Deleuze e allo storico Pierre Vidal-Naquet, facilitarono la crescita di una campagna di contro-informazione che portò i principali quotidiani e settimanali francesi come Le Monde e Le Nouvel Observateur a denunciare le condizioni di reclusione e della violenza di Stato.
Il Gip ha fatto la storia dei movimenti di fine XX secolo, insieme a quello contro la psichiatria istituzionale di Franco Basaglia. Negli anni Ottanta, complice Daniel Defert, ispirò il movimento di contro-informazione sull’Aids Act-up! negli Stati Uniti e in Francia. Quella lotta contro il carcere rivoluzionò anche il rapporto con gli intellettuali impegnati nella contro-informazione e nell’elaborazione di contro-saperi critici sulla reclusione della marginalità. Uno dei suoi più felici esiti fu quello di creare coalizioni sociali dal basso dove ex detenuti, i familiari dei «comuni» e i militanti distribuivano volantini davanti al Ministero della Giustizia, firmavano petizioni, costruivano manifestazioni.
Il libro restituisce inoltre la straordinaria capacità di Foucault di collegare piani e maturare una visione critica complessiva delle rivolte nel carcere di Attica negli Stati Uniti, subito dopo l’assassinio in carcere del leader delle Black Panthers George Jackson, delle iniziative di Lotta Continua nelle prigioni italiane oppure delle battaglie in difesa dei diritti dei prigionieri politici della Raf in Germania nel 1977 (questo testo manca nella raccolta, ma è facilmente reperibile).
Pensare oggi che un intellettuale di fama mondiale arrivò a farsi arrestare per affermare la pratica di «intellettuale specifico» (sovvertire il suo ruolo sociale per distruggere il potere che il sapere esprime nella società) è inconcepibile. Ma a Foucault accadde proprio questo. L’azione diretta, il «gettare il proprio corpo nella lotta», senza mediazioni, impediscono di ridurre il suo ruolo a quello di «compagno di strada» delle mobilitazioni dell’estrema sinistra, oppure all’immagine dell’intellettuale libertario che si sarebbe accontentato dell’abolizione del carcere.
Ipotesi ridicole, e in malafede, se confrontate con l’enorme ricchezza della produzione di sapere che Foucault sviluppò su questo tema. Interno ed esterno ai movimenti, e non per opportunismo, ma per sviluppare un punto di vista immanente alla realtà politica delle loro pratiche, anche il Gip è il prodotto di questo posizionamento. Rispetto alla Gauche proletarienne (Gp) nella sigla Gip c’è uno iota in più. In questa variazione semantica Foucault vide la possibilità di elaborare una riflessione sulla detenzione in sé e sulla giustizia, senza accontentarsi di sostenere un’organizzazione politica, sia pure amica. Una differenza che ancora oggi sfugge, ma che permette di non confondere l’imposizione dell’agenda politica con la riflessione sulla politica, le sigle di un partito con le iniziali di un’idea.

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