l più giovane è Alfred Lühmann, 86 anni, taglialegna in pensione della Bassa Sassonia, all'epoca dei fatti caporale dell'esercito tedesco. Gli altri superano tutti quota novanta, dall'ufficiale Karl Hans Georg Winkler, poi medico primario a Norimberga, al sergente Karl Wilhelm Stark, dai sottotenenti Fritz Olberg e Ferdinand Osterhaus al tenente Erich Koeppe. ">

Incastrati dai diari Sei all’ergastolo per 18 stragi naziste

I novantenni della Panzer-Division

Il più giovane è Alfred Lühmann, 86 anni, taglialegna in pensione della Bassa Sassonia, all’epoca dei fatti caporale dell’esercito tedesco. Gli altri superano tutti quota novanta, dall’ufficiale Karl Hans Georg Winkler, poi medico primario a Norimberga, al sergente Karl Wilhelm Stark, dai sottotenenti Fritz Olberg e Ferdinand Osterhaus al tenente Erich Koeppe.

I novantenni della Panzer-Division

Il più giovane è Alfred Lühmann, 86 anni, taglialegna in pensione della Bassa Sassonia, all’epoca dei fatti caporale dell’esercito tedesco. Gli altri superano tutti quota novanta, dall’ufficiale Karl Hans Georg Winkler, poi medico primario a Norimberga, al sergente Karl Wilhelm Stark, dai sottotenenti Fritz Olberg e Ferdinand Osterhaus al tenente Erich Koeppe.
Per il tribunale militare di Verona sono responsabili delle stragi naziste della Panzer Division «Hermann Göring» , il reparto speciale che nel marzo 1944, battendo in ritirata, mise a ferro e fuoco una ventina di paesi fra Toscana ed Emilia uccidendo circa 400 civili, compresi vecchi, donne e bambini. Nessuna attenuante: sei ergastoli. Assolti per non aver commesso il fatto solo Karl Friedrich Mess, vicecomandante della batteria antiaerea, e Herbert Wilke, comandante di plotone.
La giustizia terrena chiude così un altro capitolo della storia nera d’Italia. Dopo Priebke, Hass, Kappler, Seifert, dopo i processi per lo sterminio delle Fosse Ardeatine, il lager di Bolzano, i massacri veneti del Padovano e del Vicentino, sono state dunque riscritte anche le terribili giornate dell’Appennino tosco-emiliano.
Diciotto massacri in altrettanti paesi e borgate fra Firenze, Massa, Modena e Reggio Emilia che hanno pagato in questo modo il loro tributo di sangue al Secondo conflitto mondiale e in particolare alla furia nazista causata dalla rottura dell’alleanza fra Italia e Germania. Ieri sera, alla lettura della sentenza, i sindaci di molti di quei paesi si sono spellati le mani insieme ai familiari delle vittime. «Siamo molto soddisfatti, è quello che volevamo. Una liberazione» , gioiva Italo Rovali, presidente del comitato che li riunisce, insieme agli avvocati Andrea Speranzoni e Vainer Burani, che difendono le centinaia di parti civili. Il processo è nato dai fascicoli del cosiddetto «armadio della vergogna» di palazzo Cesi, dove i documenti sugli eccidi erano rimasti a ingiallire fino al 1960 per poi essere archiviati con una formula standard: «Poiché non sono emersi elementi per l’identificazione dei responsabili, la Procura generale militare dispone l’archiviazione provvisoria» .
Dopo aver tolto il segreto e riaperto i fascicoli, si è però scoperta una realtà diversa. Alcune stragi avevano nomi e cognomi e così le Procure militari della penisola si sono rimboccate le maniche. Per quelle tosco-emiliane ci ha pensato prima La Spezia e poi Verona, con la collaborazione delle autorità tedesche. Le quali hanno utilizzato un sistema innovativo per fatti così lontani nel tempo: intercettazioni.
Proprio così: i telefoni di alcuni indagati sono stati controllati a distanza di quasi settant’anni. E in qualche conversazione con un amico, Lühmann ha offerto spunti agli inquirenti. L’amico: «… e ne avete anche fatti fuori un paio» . Lühmann: «Certo, quelli si difendevano anche» . Poi sono spuntati dei diari e il tutto si è combinato con le testimonianze dei sopravvissuti. Risultato: ergastolo. Pagheranno? Solo alla storia: i condannati per reati militari non possono essere estradati.

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