PERCORSI DI RICERCA «Critica del cielo, critica della terra», un saggio del filosofo Roland Boer
La teologia usata come possibile chiave di accesso alla critica del capitalismo. Un saggio sul rapporto tra marxismo e religione
PERCORSI DI RICERCA «Critica del cielo, critica della terra», un saggio del filosofo Roland Boer
La teologia usata come possibile chiave di accesso alla critica del capitalismo. Un saggio sul rapporto tra marxismo e religione
I sette saggi che compongono il presente volume Critica del cielo, critica della terra. Saggi su marxismo, religione e teologia, (Ombre corte, pp. 208, euro 20) di Roland Boer, «classicista e teologo di formazione, con una passione durevole per la filosofia marxista, e un rapporto conflittuale e intenso con un’educazione calvinista» – secondo la definizione della curatrice del volume, Sara R. Farris – sono estratti dai tre volumi già pubblicati (sui cinque previsti) del suo monumentale Criticism of Heaven and Hearth. Un’opera con la quale quale Boer si propone di sondare «il rapporto tra marxismo e religione e, più in particolare, l’impiego di categorie teologiche nei testi di classici quali Hegel, Marx ed Engels, ma anche dei teorici marxisti più significativi del Novecento» e di questo primo scorcio d’inizio millennio.
Gli studiosi prescelti che compongono questa silloge sono, nell’ordine, Walter Benjamin, Louis Althusser, Antonio Gramsci, Alain Badiou, Slavoj Zizek, Giorgio Agamben e Toni Negri (che firma poi la Postfazione al volume): tutti autori che dichiarano apertamente il loro uso di categorie religiose e teologiche; il che può sembrare, in prima battuta, un paradosso. Ma così non è.
Non si tratta, infatti, per Boer, di rimarcare in costoro la semplice presenza di un registro teologico o mitico, ma di mostrare che, a dispetto della loro intenzione di servirsene e al contempo di liberarsene, non ci riescono, conservando e riproducendo, quindi, al fondo delle loro argomentazioni proprio ciò che avrebbero voluto estromettere.
Ci troviamo di fronte a una riflessione tipicamente teologico-politica (in cui si riverberano echi di Metz e Moltmann), che mira a intercettare il nucleo teologico della riflessione politica ossia il rapporto tra trascendenza e ordine mediato dalla ragione. Rapporto nel quale la trascendenza non rinvia necessariamente a qualcosa di sacro, mitico o di divino, ma indica il presupposto necessario all’esercizio della razionalità stessa, la condizione che la ragione deve presupporre per potersi dare e che, al contempo, non è in grado di definire come qualcosa di costruibile proceduralmente a partire da se stessa.
In questo senso, i camei che Boer ci offre praticano, giustamente, più il piano concettuale della ricerca che quello lessicale. Una parola può essere presente e avere significati diversi, mentre un concetto può essere presente, sempre identico a sé, anche sotto le mentite spoglie di parole diverse. Non è detto che i due piani coincidano, anche se accade, come ben mostra il saggio su Gramsci, sicuramente il migliore del volume, il più convincente nel mostrarne «l’ecumenismo», ossia «il desiderio profondo di trarre dalla religione e dalla Chiesa degli insegnamenti che possano essere utili al comunismo».
Il tema che attraversa tutti i sette saggi di Boer e che, a mio avviso, può fornire una chiave di lettura del suo percorso è quello della «grazia». Non a caso, gli autori maggiormente valorizzati sono quelli in cui è rintracciabile una qualche forma di apprezzamento (magari inconscio) per la dimensione protestante e segnatamente calvinista della religione.
La grazia fa capolino, in modo imprevisto e imprevedibile, magari mascherata da parole o concetti che, di primo acchito, sembrano non avere nessuna relazione con la sua trascendenza. L’intenzione di svelare «l’inconscio religioso del marxismo occidentale», sembra così avere come motto le parole di Gramsci, secondo il quale «Lutero e la Riforma sono stati l’inizio di tutta la filosofia e la civiltà moderna». Contro l’ancora troppo ebreo Benjamin e il troppo cattolico Althusser, Boer sembra gradire maggiormente le riflessioni di Badiou, Zizek, sebbene non le condivida pienamente.
Nel primo, dal «tono calvinista affascinante», Boer sottolinea l’analogia tra l’«evento» e la grazia sia perché esso è «inaspettato e immeritato, opera ai confini del linguaggio e oltre» sia perché «ha la struttura della finzione» o di una «favola necessaria» («la verità è necessariamente “favolosa”»), utile a generare un «movimento militante caratterizzato da fedeltà e certezza». Il secondo, invece, che «ha assunto nei suoi scritti il compito enorme di reinventare la Riforma Protestante, scopre la dottrina protestante della grazia, ma vuole anche identificarne il cuore materialista e politico». Una ricerca che l’ha portato, secondo Boer, ad abbandonare la psicoanalisi per «ritornare» a Lenin. Quest’ultimo rappresenta per Zizek la possibilità di rompere il cerchio etica-amore (perseguito dalla psicoanalisi) e riattivare quello politica-grazia, la cui lettura materialistica implica che «la libertà attuale sia l’abilità di uscire dal contesto particolare o di trascenderlo», e ciò significa che «la libertà attuale non è la scelta tra due o più opzioni all’interno di una situazione data, ma la scelta di cambiare la situazione stessa», anche se poi la rivoluzione avviene, quando avviene, in modo del tutto contingente e inatteso.
I casi di Agamben e Negri sono ancora diversi, perché nella riflessione del primo «la grazia deve rinegoziare un posto relativamente minore» rispetto alla “legge”, il cui superamento deve dunque venire dall’interno del sistema e non dall’esterno: dalla «disattivazione» della legge stessa attraverso il suo compimento. Nel caso di Negri, poi, la grazia non è nominata, ma sostituita dal kairós, che Boer interpreta come «dismisura» del desiderio, il quale, di contro alla teoria marxiana del valore, «produce una misura totalmente nuova»: la potenza creatrice del lavoro comune.
La grazia, dunque, o della rivoluzione.
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