Il documentario, racconto e immagine del presente

FESTIVAL Il Fid di Marsiglia: Kowalski, Masao Adachi, l’Egitto delle star

Tre concorsi, focus, il Fidlab per progetti in lavorazione, una possibilità  per chiudere il budget

 

FESTIVAL Il Fid di Marsiglia: Kowalski, Masao Adachi, l’Egitto delle star

Tre concorsi, focus, il Fidlab per progetti in lavorazione, una possibilità  per chiudere il budget

  L’appuntamento è per il 6 luglio, a Marsiglia, è qui che si svolge il Fid, il Festival internazionale del documentario, un laboratorio indispensabile per scoprire cosa accade negli immaginari oggi. E non si tratta solo di «documentario», il festival infatti punta su quello «sconfinamento» di generi che oggi sembra uno degli spazi più vitali in cui si produce un diverso fare-cinema . Infatti non c’è spazio per il documentario «a soggetto» a Marsiglia, inteso come la sfilata di «teste parlanti», le interviste ai soggetti narrati, con cui spesso si fa coincidere il lavoro sulla realtà. O per l’idea che parlare di un argomento «forte», che riguarda il nostro presente – per fare qualche esempio: conflitto israelo-palestinese, migranti, emarginazione … – basta da sé a giustificare il film, anche questa un’opinione diffusa, spesso anche nell’approccio critico, laddove il documentario diviene una specie di terreno d’esercizio per parlare d’altro – i problemi geopoliticisociali trattati.

Questo non vuole dire che sugli schermi di Marsiglia manchino storie forti e attuali, ma al primo posto c’è una scrittura e un pensiero che funziona con le immagini, che passa attraverso di esse, e non si limita, appunto, a pensare il documentario come un’alternativa all’informazione. Pretende di più, cerca il battito del tempo e il senso del cinema. Si legge nell’introduzione del direttore artistico Jean-Pierre Rehm: «La selezione di quest’anno comprende un vasto numero di paesi, dall’Iran al Giappone, Argentina, Canada, Messico, Belgio, Germania, Austria, Paesi-Bassi, Francia, Spagna, Libano, Qatar …, e una grande varietà di approcci, tra finzione e documentario, spesso mescolati perché è questo il punto delicato che cerchiamo di sostenere e di difendere …».
Lo stesso vale per i progetti che vengono selezionati dal FidLab, un’altra importante scommessa del festival, che permette ai registi dei progetti selezionati di venire incontrare produttori, distributori, rappresentanti dei fondi di sostegno con cui chiudere il budget. Il progetto italiano è di uno dei nostri registi più internazionali, Gianfranco Rosi, che presenta Sacro GRA, il raccordo anulare che gira intorno a Roma percorso attraverso i personaggi della società che gli è cresciuta intorno.
Venti i film del concorso internazinale, tra cui il nuovo Lech Kowalski, The End of the World begins with one lie, filmmaker narratore di suburbi e conflitti. La bugia del titolo (La fine del mondo comincia con una bugia) emerge dal confronto tra due immagini, da una parte Louisiana Story, film su commissione realizzato nel ’48 da Robert Flaherty per la compagnia petrolifera americana Standard Oil Company. Dall’altra le immagini girate che mostrano la catastrofe petrolifera nel Golfo del Messico nel 2010. Il confronto apre altre strade …
Philippe Grandieux cineasta francese di un cinema «sul confine» (e molto di tendenza, Un lac, Sombre) realizza questo ritratto di Masao Adachi, regista, sceneggiatore di Wakamatsu, rivoluzionario, militante nell’Armata rossa giapponese, arrestato e ancora senza diritto di lasciare il Giappone. Lo filma mentre parla, e insieme si confrontano con l’idea di una radicalità del cinema – il titolo, Il se peut que la beauté ait renforcé notre résolution – Masao Adachi è una frase di Genet.
Soad è un’icona del cinema egiziano, attrice in oltre cento film, nata nel ’43, morta suicida a Londra nel 2001. Rania Stephan, montatrice, per la sua opera prima, Les trois disparitions de Soad Hosni, ne racconta la vita utilizzando soltanto frammenti di film che Hosni ha interpretato. Una storia che da Nasser arriva a Mubarak e ci parla dell’Egitto ieri e oggi.
Nel concorso francese – la terza gara è riservata alle opere prime – c’è di nuovo Pierre Creton, cineasta che coi suoi film ripercorre luoghi fisici e dell’animo cercando di costruire una personalissima memoria. La grande cortège ritrova gli abitanti di un ospizio che era stato al centro del suo precedente film, Maniquerville.
L’anabase de May e Fusako Shigenobu, Asao Adachi e 27 anni senza immagini di Eric Baudelaire torna di nuovo a Masao Adachi spostando però l’attenzione su Fusaku, leader dell’Armata rossa giapponese, fuggita a Beirut dove è rimasta trent’anni, e la figlia May nata lì. E sorprende tanto interesse per Masao Adachi, in Italia quasi sconosciuto come Wakamatsu, almeno nel circuito tradizionale (grazie a Rarovideo sono arrivati però in distribuzione dei loro film) tra i cineasti francesi, anche se negli ultimi tempi ci sono state rassegne a loro dedicate, e evidentemente soprattutto il modo che entrambi hanno di confrontarsi con le immagini e con la loro realtà continua nella sua potenza a lasciare il segno.

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