Sulla nave che parla di Stefano Chiarini

Corfù, 29 giugno 2011. Oggi forse posso davvero scrivere che questo è un «diario di bordo» perché finalmente a bordo sono salito. Anche se soltanto per una breve visita. La nave bianca e azzurra è ancorata in una bella baia dell’isola, un porticciolo turistico, insieme a piccoli yachts e barche da diporto, a pochi metri da due motovedette della guardia costiera greca.

Corfù, 29 giugno 2011. Oggi forse posso davvero scrivere che questo è un «diario di bordo» perché finalmente a bordo sono salito. Anche se soltanto per una breve visita. La nave bianca e azzurra è ancorata in una bella baia dell’isola, un porticciolo turistico, insieme a piccoli yachts e barche da diporto, a pochi metri da due motovedette della guardia costiera greca. E’ un 30 metri con sul ponte pile di sedie allineate. Uno di quei classici natanti che portano i turisti a fare gite marittime di mezza giornata.

A poppa e sulle fiancate spicca però il nome scritto a vernice blu «Stefano Chiarini».
Non posso negare di aver provato una strana sensazione nel leggerlo. Stefano era un amico e un compagno non il nome di una barca. Ma è giusto che ora sia così. «Siamo qui» mi diceva spesso, con la sua voce un po’ nasale, quando riuscivo a raggiungerlo al telefono mentre era a Baghdad sotto i bombardamenti nella prima guerra del Golfo. Ed ora qui, che galleggia placidamente in questa baia mediterranea, c’è la nave con il suo nome che attende di partire alla volta di Gaza con il suo carico di umanità. Una partenza che di giorno in giorno si fa più difficile.
Mentre i pacifisti che sono convenuti sull’isola per imbarcarsi continuano ad essere impegnati quotidianamente in training di resistenza non violenta che durano anche parecchie ore il governo israeliano sembra preso da una frenesia isterica per impedire che la Flotilla possa salpare. Ieri (l’altro ieri per chi legge) è stata sabotata, nello stesso modo di quella greca di due giorni fa, rompendo gli alberi delle eliche, la nave irlandese, la «Saoirse». La «Saoirse» era salpata già da diversi giorni. I sabotatori l’hanno scovata e raggiunta in un piccolo porto turco dove era attraccata in attesa di poter raggiungere il punto di incontro con le altre imbarcazioni. Continuano, anzi si intensificano, da parte di Israele anche le pressioni politiche ed economiche sul governo greco perché non consenta alle navi di salpare. Fonti vicine al medesimo parlano addirittura della possibilità che la Freedom Flotilla possa essere classificata come «questione riguardante la sicurezza nazionale» e questo potrebbe permettere alle autorità greche, al di là delle difficoltà burocratiche usate fino ad ora per rimandare il più possibile la partenza, il blocco definitivo delle navi. Certo guardando la «Stefano Chiarini» sembra davvero assurdo e forse anche un po’ ridicolo che il governo di una potenza nucleare come quello di Israele è, la possa considerare una minaccia e stia spendendo tante risorse politiche, economiche e militari per non farle prendere il mare. Sul ponte incontro anche uno dei «terroristi» pronti a «sfidare le forze armate israeliane».
Capelli folti e bianchi, giubottino multi tasche imbottito di rullini fotografici, è il fotografo Tano D’Amico. «Tano perché qui?» gli chiedo «Ho quasi settant’anni, quando ero giovane andavo in giro per il mondo, mi sembrava troppo cattivo, volevo fare qualcosa per cambiarlo. Il mondo mi sembra ancora cattivo, così ancora giro insieme a chi vuole cambiarlo». Tano forse non riuscirà a cambiare il mondo ma mi piace immaginare che potrà presto con il suo obiettivo inquadrare il sorriso di un bambino di Gaza eccitato e felice per l’arrivo di tante navi, scattare la foto e regalare quel sorriso al mondo cattivo.

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