Il destino dei teorici critici, in particolare di quelli destinati a lasciare un segno sia nelle riflessioni, sia nelle pratiche politiche radicali, è di essere fraintesi, strumentalizzati, sminuiti. Questa tendenza si spinge fino al punto di attribuire loro tendenze concettuali opposte a quelle da delineate e ad accusarli, per svalutarli definitivamente, di disorganicità , frammentarietà  e contradditorietà  di pensiero.
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Un teorico in ascolto delle strategie di resistenza al potere

Il destino dei teorici critici, in particolare di quelli destinati a lasciare un segno sia nelle riflessioni, sia nelle pratiche politiche radicali, è di essere fraintesi, strumentalizzati, sminuiti. Questa tendenza si spinge fino al punto di attribuire loro tendenze concettuali opposte a quelle da delineate e ad accusarli, per svalutarli definitivamente, di disorganicità , frammentarietà  e contradditorietà  di pensiero.

Il destino dei teorici critici, in particolare di quelli destinati a lasciare un segno sia nelle riflessioni, sia nelle pratiche politiche radicali, è di essere fraintesi, strumentalizzati, sminuiti. Questa tendenza si spinge fino al punto di attribuire loro tendenze concettuali opposte a quelle da delineate e ad accusarli, per svalutarli definitivamente, di disorganicità , frammentarietà  e contradditorietà  di pensiero.

È stato così per Karl Marx, senza però riuscire a ridurne l’influenza sulle pratiche e sulle lotte collettive che ha esercitato e tuttora esercita sui movimenti collettivi. È così oggi per Michel Foucault, la cui matrice nietzschiana è servita a molti suoi avversari, a partire da Jürgen Habermas, per accusarlo di essere anti-moderno, estetizzante, forzatamente critico. Inoltre, al pari di Marx, Foucault affronta anche dopo morto l’accusa di essere reo di avere violato i sacri confini delle scienze sociali, in quanto la compartimentazione odierna dei saperi non riesce a tollerare che uno studioso sia in grado di contaminare, con le sue riflessioni, la filosofia, la sociologia, la scienza politica, la psicologia e anche l’economia, sfuggendo cioè alle maglie strette della divisione disciplinare. Anche in questo caso, l’influenza di Foucault sui nuovi movimenti sociali, dal femminismo alla critica delle istituzioni sociali, rimane notevole e indiscutibile. 

Giuseppe Campesi, nel suo studio sul pensiero foucaultiano Soggetto, disciplina, governo. Michel Foucault e le tecnologie politiche moderne (Mimesis, pp. 232, euro 20), si sforza, con successo, di ribadire le linee guida del pensiero foucaultiano, ponendo attenzione relativamente alla sua coerenza interna e alla sua fruibilità per affrontare le contraddizioni della società contemporanea.
Utilizzando un registro narrativo insolitamente scorrevole per gli addetti ai lavori, Campesi snoda la sua riflessione ripercorrendo l’attività scientifica del teorico francese. L’idea che il pensiero foucaultiano non vada considerato tanto alla stregua di un pensiero organico, sistematico, autosufficiente, quanto piuttosto come un autentico percorso, quindi come un confronto continuo con le condizioni storiche e sociali che producono mutamenti sostanziali nella definizione, costruzione e circolazione, di quella che, apoditticamente, viene chiamata natura umana, sulla cui esistenza convergono quelle forze istituzionali e intellettuali che, generalizzando, si coagulano per formare il nucleo del potere. Ecco la cifra del pensiero foucaultiano: la sfida della modernità non sta nell’accettare acriticamente l’esistenza della natura umana. Al contrario, servendosi dello strumento dell’analisi storica, bisogna sbrogliare la matassa delle lotte, degli assoggettamenti condotti attraverso l’implementazione di quelle tecnologie del sé di cui la biopolitica costituisce la forma contemporanea.
A questo risultato si arriva realizzando un’analisi archeologica, che riconosca le pratiche di dominio che informano l’ordine del discorso, genealogica, che analizzi le suddette pratiche, ontologica (che riconosca agli individui la possibilità di creare nuove soggettività, quindi anche quelle che si collocano al di fuori del discorso del potere. Quest’ultimo smette di essere una risorsa disuguale, distribuita dall’alto in basso, per diventare uno strumento relazionale, circolare, diffuso all’interno del corpo sociale. Tutti gli individui, in quanto agenti etici, quindi in grado di scegliere, possono esercitare potere, primo tra tutti quello di uscire dalla trama del dominio e costruire nuove forme di pratiche e relazioni sociali diffuse, alternative e opposte alle pratiche di assoggettamento che prevalgono.
Dall’analisi di Campesi esce un Foucault restituito alla sua dimensione di pensatore attuale, complesso, radicale, anche se, nel pensiero foucaultiano, viene eluso il nodo dei rapporti tra soggettività individuali e collettive, né il nodo tra etica e rapporti di produzione viene affrontato in modo chiaro. Tuttavia, si tratta di un punto di partenza da non trascurare.

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