De Mauro, assolto Riina L’omicidio del giornalista resta senza colpevoli

Scomparso nel 1970. Il pm voleva l’ergastolo

Scomparso nel 1970. Il pm voleva l’ergastolo

PALERMO — Il suo avvocato, Luca Cianferoni, ha ottenuto quel che chiedeva. «Io sono qui a dirvi che Riina è innocente— s’era infervorato nell’arringa finale — e allora lo Stato si può pulire la coscienza, anche lasciandolo in pace a morire in galera. Perché Riina sa che morirà in galera, non c’è bisogno di fargli fare il parafulmine una volta per la strage di Natale, una volta per il giudice ucciso in Calabria e ora per De Mauro. Sono operazioni di autoassoluzione dello Stato, queste» . Si riferiva all’annullamento dell’arresto di qualche settimana fa per l’eccidio del rapido 904 del 1985 e all’assoluzione per l’omicidio del sostituto procuratore generale della Cassazione Scopelliti, assassinato nel 1991. Ieri sera, dalla Corte d’assise di Palermo, il «capo dei capi» è stato scagionato dal sequestro e dall’omicidio di Mauro De Mauro, «giornalista scomodo» del quotidiano palermitano L’Ora sequestrato la sera del 16 settembre 1970. Tutte le indagini dell’epoca non portarono a nulla, finché negli anni Novanta un gruppo di pentiti non cominciò a riferire qualche discorso ascoltato dentro Cosa nostra, prospettando scenari. Ne è venuto fuori un processo di primo grado durato cinque anni, su cui ieri è calato il sipario. Sulla fine di Mauro De Mauro resta, a questo punto, il mistero. Ma anche il sospetto di troppi depistaggi. Quelli di ieri, di cui molto s’è parlato durante il dibattimento, e quelli di oggi, visto che la corte ha trasmesso gli atti alla Procura perché proceda per falsa testimonianza nei confronti di alcune persone; tra queste Bruno Contrada l’ex funzionario della polizia e del Sisde già condannato per concorso in associazione mafiosa. Evidentemente le prove a carico dell’ultimo boss rimasto in vita tra quelli indicati dai pentiti non sono state ritenute sufficienti per una condanna. All’epoca la mafia era guidata dal cosiddetto «triumvirato» composto da Luciano Gaetano Badalamenti, Stefano Bontate e Luciano Liggio (tutti morti); in sostituzione di quest’ultimo, nel 1970 al soggiorno obbligato, era subentrato un altro corleonese: Riina appunto. Che nel disegno dell’accusa aveva contribuito a decretare la fine di De Mauro perché «pericoloso, minaccioso per gli interessi di Cosa nostra e degli amici di Cosa nostra, di vario tipo e genere in quegli anni bui in cui le relazioni tra il potere mafioso e gli altri poteri occulti che hanno inciso sulla storia del nostro Paese, soprattutto in quegli anni» . Così disse nella requisitoria finale il procuratore aggiunto Antonio Ingroia, affiancato dal sostituto Sergio De Montis. Spiegando che la minaccia veniva da almeno due attività del giornalista: «Per quello che stava facendo sulla vicenda Mattei (la morte misteriosa del presidente dell’Eni nel 1962, ndr) e per quello che probabilmente aveva scoperto sul golpe Borghese poi fallito» , cioè il colpo di Stato andato a monte in cui, insieme ai neofascisti guidati dal principe Junio Valerio Borghese erano coinvolti anche alcuni mafiosi. Un «movente multiplo» che poteva unire le preoccupazioni e gli interessi di Cosa nostra con quelli di chi Cosa nostra aveva utilizzato, utile poi a innescare i depistaggi denunciati non solo dai pubblici ministeri, ma anche dalla parte civile: dalla falsa pista della droga agli archivi vuoti dei servizi segreti. «Da quei faldoni non è mai saltata fuori una velina — s’è sfogato nella sue conclusioni l’avvocato Crescimanno, rappresentante della famiglia De Mauro — un atto qualsiasi che abbia seriamente trattato la vicenda De Mauro. Ma possiamo credere a questo? Per il solo fatto che si siano ipotizzate le piste della morte di Mattei, delle sette sorelle, del petrolio, della Libia, del gas in Algeria, i Servizi italiani avrebbero dovuto mettere in moto un mare di attività. Non prendiamoci in giro…» . Vista la sentenza di ieri, le deviazioni dell’epoca continuano a produrre effetti. Le motivazioni diranno se le prove su una singola responsabilità sono insufficienti rispetto a un quadro comunque credibile, oppure se l’intreccio delle dichiarazioni dei tanti pentiti non rende nemmeno plausibile il quadro accusatorio. Il risultato è che a più di quarant’anni dal sequestro e dall’omicidio, l’unico imputato è uscito indenne. Ha ottantuno anni e il suo avvocato aveva detto: «Questa sentenza a lui non cambia niente, se non una tranquillità di coscienza che anche un uomo gravato da oltre venti ergastoli ormai sta cercando, nell’arrivare al momento in cui il creatore lo chiamerà a sé» . La moglie di De Mauro, una dei tanti testimoni del dibattimento, di anni ne ha 91. L’ultima volta che sentì suo marito al telefono, quella sera di fine estate del 1970, Mauro le disse che si sarebbe fermato a prendere le sigarette. Lei le chiese di comprare anche un po’ di caffè. Non l’ha più visto. Dopo tanto tempo sperava di riuscire a vedere almeno uno squarcio di verità, ma per adesso non c’è riuscita.

0 comments

Leave a Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Sign In

Reset Your Password