Battisti: la parola ai giudici

BRASILIA Davanti agli 11 magistrati del Supremo tribunale federale il caso dell’ex-terrorista. Alle 10 di ieri sera il verdetto non era ancora stato emesso. Esito «incerto» per alcuni, «no all’estradizione» per i media brasiliani

 

BRASILIA Davanti agli 11 magistrati del Supremo tribunale federale il caso dell’ex-terrorista. Alle 10 di ieri sera il verdetto non era ancora stato emesso. Esito «incerto» per alcuni, «no all’estradizione» per i media brasiliani

 

Dopo quattro anni e tre mesi, ieri era il giorno in cui il caso Battisti, che ha diviso Brasile e Italia con una contrapposizione a momenti assai aspra, doveva arrivare (forse) alla fine.
Gli 11 giudici del Supremo tribunale federale si sono riuniti a Brasilia alle 2 del pomeriggio (le 19 in Italia) per dire l’ultima parola sull’estradizione di Cesare Battisti, mentre l’ex-terrorista italiano, arrestato il 18 marzo 2007 a Rio de Janeiro dove era arrivato (con passaporto falso) nel 2004 in fuga dalla Francia, aspettava il verdetto nel carcere di Papuda, in cui è rinchiuso da quattro anni e tre mesi, a poche centinaia di metri di distanza.
Al momento di chiudere questa edizione (le 10 di ieri sera), il verdetto non era ancora stato emesso. Da Brasilia arrivavano flash che lo davano ancora come «incerto», anche se la gran parte dei media brasiliani invece dava la conferma del no all’estradizione e la sua imminente liberazione come «certa».
«Ottimista, tranquillo e in buona salute», secondo Maria Luiza Fontenelle, ex sindaco di Fortaleza, che insieme al senatore Eduardo Suplicy – entrambi esponenti del Partido dos Trabalhadores di Lula e Dilma e animatori del gruppo di appoggio a Battisti -, è andata a visitarlo in cella. Per Roberto Barroso, il suo difensore, invece Battisti è sì «fiducioso, ma ansioso e nervoso».
Prima dell’inizio della seduta si cercava di capire quale potesse essere il risultato, sulla base delle posizioni precedentemente espresse dagli 11 giudici o dalle loro inclinazioni. La maggioranza dei media brasiliani propendeva per una sentenza che confermasse il no all’estradizione dato da Lula il 31 dicembre scorso, ultimo giorno prima di uscire dopo 8 anni dal palazzo presidenziale di Planalto per far posto al suo successore Dilma Rousseff.
Una sentenza tuttavia con margini numerici che si prevedevano molto stretti, tipo 6 a 5 o 5 a 4, nel caso due giudici si astenessero dal voto per ragioni di cosicenza, come accadde il 18 novembre 2009. In quell’occasione però il verdetto fu negativo per Battisti giacché il Supremo tribunale annullò lo status di rifugiato politico che nel gennaio precedente gli aveva riconosciuto l’allora ministro della giustizia Tarso Genro, provocando un’aspra reazione da parte italiana. Con Berlusconi e Frattini che richiamarono l’ambasciatore e chiesero a Lula di rivedere la decisione, con il presidente Napolitano a scrivergli manifestando «stupore e rammarico» (e con Lula a rispondere che gli italiani dovevano «rispettare la decisione sovrana» dello stato brasiliano). Ma in quella stessa votazione i giudici del Stf decisero anche, sempre per 5 a 4, che l’ultima parola spettasse a Lula. E Lula, in camera caritatis, disse no all’estradizione dopo aver chiesto il parere scritto dell’allora avvocato dello stato Antonio Dias Toffoli (divenuto oggi uno dei giudici del Stf…) che lo redasse sulla base «delle clausole del trattato di estradizione in vigore fra Brasile e Italia» firmato nel 1989.
Quella decisione scatenò un altro putiferio, con un nuovo messaggio del presidente Napolitano a Dilma Rousseff e la risposta, nel gennaio scorso, in cui la nuova presidenta ribadiva, piccata, la decisione del suo predecessore e mentore politico.
Ma il governo italiano non si rassegnò facendo fuoco e fiamme, e presentando un ulteriore ricorso al Supremo tribunale federale. La tesi, esposta (anche nella seduta di ieri davanti alla Corte) da Nabor Bulhoes, l’avvocato brasiliano che difende la posizione del governo italiano, è che «gli argomenti del presidente Lula avessero i limiti del trattato di estradizione». Per esempio «la supposizione che Battisti sarebbe stato perseguitato in Italia, già esclusa dal Stf con la decisione del 2009 favorevole all’estradizione»; oppure l’argomento relativo all’ergastolo, che il Brasile ha abolito con un massimo di 30 anni di carcere, che secondo Bulhoes «Battisti non dovrà scontare nel caso fosse estradato in Italia» (anzi, a sentir lui, «in poco tempo verrà liberato»). Il ricorso dell’Italia fu accolto dal Supremo tribunale che, respinte le istanze di liberazione di Battisti, infine si è riunito, ieri, per decidere se gli argomenti usati da Lula sono compatibili con il trattato di estradizione.
Uno strano guazzabuglio. Il Stf aveva detto che l’ultima parola spettava al presidente della repubblica e poi, dopo che questi l’ha pronunciata, si riunisce di nuovo per decidere se quella parola sia compatibile con il trattato.
L’argomentazione del difensore di Battisti, Roberto Barroso (ripetuta anche ieri davanti al Stf), era invece che «in discussione non è l’estradizione ma la conferma di un atto di sovranità dello stato brasiliano». Un argomento che in Brasile (come nelle altre «ex-colonie») fa sempre molta presa. Joaquim Barbosa, primo giudice di colore del Stf, si è detto più volte contrario all’estradizione di Battisti in quanto sarebbe «un’offesa nei confronti della sovranità brasiliana».
Così il caso Battisti (cui non ha giovato un’intervista «sparata» a un giornale brasiliano di qualche mese fa che anche il manifesto ha pubblicato provocando non poche reazioni) è finito per diventare uno scontro fra diverse soggettività «offese»: l’offesa alla democrazia italiana, alla giustizia, alle vittime del terrorismo da una parte; l’offesa alla sovranità giuridica e politica del Brasile dall’altra.
Oltre tutto non è neanche sicuro che la saga abbia trovato ieri la sua parola fine. Perché, secondo l’avvocato Barroso, anche nel caso il Stf decidesse di sconfessare Lula, questo non significherebbe automaticamente l’estradizione: «Il caso dovrebbe ritornare dalla presidenta Dilma in quanto il Stf non ha la competenza di estradare le persone».

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