Jorge Sempràºn, maestro di libertà 

Jorge Sempràºn se nàè andato. È morto ieri a 87 anni nella sua casa di rue de l’Université, a Parigi, senza riuscire a tornare un ultima volta a Madrid, come non aveva mai smesso di sperare. La Spagna perde un uomo «valiente» , un gran scrittore, uno sceneggiatore, un pensatore, un politico, un ex ministro, ma soprattutto una scheggia importante e incisiva della sua memoria storica.

Jorge Sempràºn se nàè andato. È morto ieri a 87 anni nella sua casa di rue de l’Université, a Parigi, senza riuscire a tornare un ultima volta a Madrid, come non aveva mai smesso di sperare. La Spagna perde un uomo «valiente» , un gran scrittore, uno sceneggiatore, un pensatore, un politico, un ex ministro, ma soprattutto una scheggia importante e incisiva della sua memoria storica.

E della sua coscienza. Figlio del prefetto di Toledo, era nato a Madrid nel 1923, in una famiglia alto borghese, nipote di un primo ministro del re Alfonso XIII. Ma appena dodicenne, allo scoppio della guerra civile, aveva dovuto lasciarla assieme al padre, per rifugiarsi prima in Olanda e poi in Francia, dove il padre divenne ministro in esilio della Repubblica, dopo la conclusione del conflitto e la vittoria di Francisco Franco. Studente della Sorbona, a vent’anni era già con i maquis, nella resistenza francese; e, pochi mesi dopo, nelle mani dei nazisti che lo deportarono al campo di Buchenwald, nella Germania orientale, dove morirono diecimila spagnoli e dove lui rimase, per sedici mesi, il prigioniero numero 44.904, fino al 1945: da quella esperienza sono scaturite alcune delle pagine più impressionanti della sua narrativa, ma anche le parole più dure, i ricordi più umani, brutali e indelebili che possano accompagnare la vita di un uomo. «Ho più ricordi che se avessi mille anni» scriveva. Si prese il tempo di metterli scrupolosamente nero su bianco, per esempio nel romanzo autobiografico Vivrò con il suo nome, morirà con il mio, ambientato nel lager, senza economia di dettagli atroci sulle violenze commesse sui prigionieri e tra gli stessi compagni di sofferenza. È proprio lì che si era consolidata la sua militanza comunista e, probabilmente, la spietatezza con la quale sapeva raccontare le peggiori sensazioni dei prigionieri, i ricordi incancellabili: «L’odore della carne bruciata— spiegò una decina d’anni fa in un’intervista al quotidiano “ El País” —. Che fai con il ricordo dell’odore della carne bruciata? Per queste circostanze esiste precisamente la letteratura. Però come parli di questo? Lo paragoni? L’oscenità del paragone? Dici per esempio che odora come il pollo bruciato?» . Più di mezzo secolo dopo ancora si torturava: «Io ho dentro la mia testa, vivo, l’odore più importante di un campo di concentramento. E non posso spiegarlo. E questo odore se ne andrà con me come se n’è andato con altri» . Anni intensi, avventurosi, appassionati, successivi alla sua liberazione non hanno mai offuscato quei ricordi. Si sono semplicemente aggiunti, nitidi e fertili, come i titoli dei suoi libri allineati sugli scaffali. Nei primi anni 50, a Parigi, dove lavorava come traduttore, acquisì sempre maggior peso nei ranghi del partito comunista. Fino a quando proprio lui, di lingua madre spagnola, fu incaricato di seguire le attività clandestine di opposizione a Franco. Sotto la falsa identità di Federico Sanchez e altre generalità inventate, avrebbe compiuto missioni sotto copertura in Spagna e soprattutto a Madrid. Da cui mancava ormai da molto tempo. Aveva perduto i contatti con la cultura popolare della sua città natale, non ne conosceva abbastanza gli eroi e i miti, soprattutto quelli del Real Madrid. Così un giorno, rischiò di essere smascherato: nello storico Caffè Commercial, tuttora esistente, decise di inserirsi in un’animata discussione di calcio, dove sentiva citare in continuazione un tal Alfredo di Stefano. «E chi è?» domandò innocentemente agli altri avventori. Cadde un silenzio perplesso, come se nella Napoli degli anni 80, un napoletano si fosse azzardato a domandare chi fosse mai quel Maradona di cui si sente tanto parlare. Ricorderà quegli anni nell’Autobiografia di Federico Sanchez, pubblicata nel ’ 77. Nel ’ 63, tornato in Francia, riceve i primi riconoscimenti letterari, con il premio «Formentor» per Il grande viaggio e, l’anno dopo, la prima potente delusione politica, con l’espulsione dal partito comunista spagnolo per dissapori con un altro dirigente, Salvatore Carrillo, ancora adesso simbolo vivente del comunismo iberico. Agli anni ’ 80 appartengono le più grandi soddisfazioni letterarie, la sua carriera di sceneggiatore, assieme ad Alain Resnais e altri grandi del cinema francese e statunitense, la sua amicizia con Yves Montand e l’inizio di un nuovo impegno politico con la nomina a ministro della Cultura nel governo di Felipe González. Una tappa che racconterà nel libro Federico Sanchez se despide de ustedes (Federico Sanchez si congeda da voi) uscito nel 1991.

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