Pablo Neruda, la fine misteriosa del poeta. In Cile l’inchiesta aperta 40 anni dopo

La magistratura ha già  disposto la riesumazione di Allende
Nuovo fascicolo sulla morte del premio Nobel, su richiesta del Pcc
Unàiniezione letale ad opera degli 007 di Pinochet o solo un aggravamento nei giorni subito dopo il golpe di un fisico già  minato. Il Cile, alle prese con la propria storia, vuole chiarire i dubbi sulla fine del grande poeta.

La magistratura ha già  disposto la riesumazione di Allende
Nuovo fascicolo sulla morte del premio Nobel, su richiesta del Pcc
Unàiniezione letale ad opera degli 007 di Pinochet o solo un aggravamento nei giorni subito dopo il golpe di un fisico già  minato. Il Cile, alle prese con la propria storia, vuole chiarire i dubbi sulla fine del grande poeta.

C’è chi ha vissuto due o più vite, ma in pochi sono morti più di una volta. Uno di questi è il presidente cileno Salvador Allende, morto nel Palazzo della Moneda l’11 settembre del 1973. La storiografia parla di un suicidio con quell’Ak47 regalatogli da Fidel Castro, come estremo atto contro il golpe militare di Augusto Pinochet. Qualche giorno fa un’inchiesta tv ha messo in dubbio la ricostruzione del suicidio di Allende e avviato la riesumazione del suo corpo. Un altro uomo che si appresta a morire una seconda volta è il poeta cileno e comunista Pablo Neruda. Una settimana fa il Partito Comunista Cileno (Pcc) ha presentato un esposto per la riesumazione anche del corpo del Nobel per la letteratura 1971. Morte naturale o assassinio?
Il dubbio è anche qui frutto di indagini giornalistiche e di un clima politico che, in un Paese governato dalla “nuova” destra del presidente Sebastián Piñera, sta portando tutto il Cile a una frenetica corsa per fare i conti col proprio passato. Il poeta sarebbe morto la sera del 23 settembre ’73, intorno alle 22,30, nella clinica privata Santa Maria di Santiago, per l’aggravarsi del tumore che lo aveva invaso mesi prima.
Per il referto della clinica Santa Maria, Neruda era in stato catatonico da parecchi giorni. Ma è questa circostanza a non combaciare con due testimonianze, arrivate quasi 40 anni dopo. Quella dell’autista di Neruda, il 65enne Manuel Araya Osorio, e quella dell’ex ambasciatore messicano in Cile, Gonzalo Martinez. Quest’ultimo, figura discussa della politica messicana, ha ricordato la sua ultima conversazione con il Nobel avvenuta il giorno prima della morte. «Non era né pelle e os-
sa né catatonico – ha detto Martinez -. Anzi, eravamo pronti a caricarlo su un aereo». Il presidente messicano Luis Echeverria gli aveva fatto pervenire la proposta: siamo pronti a ospitarti in Messico. Per Echeverria – tutto fuorché un comunista – l’idea di “salvare” Neruda equivaleva a rifarsi a quanto fatto da un suo predecessore, Lazaro Cardenas, che negli anni ’40 aprì le porte del Messico a centinaia di repubblicani spagnoli in fuga da Franco. E poi Echeverria aveva già un aereo a Santiago per riportare in patria alcune opere dei muralisti esposte in quei turbolenti giorni proprio in Cile. Ma davanti a quella proposta, altrettanto chiara fu la risposta del poeta: «Oggi no, magari lunedì». Neruda non voleva abbandonare il suo Paese in ginocchio. «Era perfettamente lucido», insiste Martinez. Il giorno appresso, la morte.
«Verso le 4 del pomeriggio – afferma l’ex autista del poeta stava dormendo. Ero lì e un uomo entrò nella stanza e gli fece un’iniezione all’altezza dello stomaco». Da lì, un rapido peggioramento. Adesso, il Pcc si chiede: chi era quell’uomo che fece l’iniezione? Ecco perché il giudice Mario Carroza ha deciso di dar seguito all’esposto, chiedendo alla clinica Santa Maria le cartelle cliniche di Neruda, soprattutto quelle degli ultimi 12 giorni, il tempo intercorso tra il golpe di Pinochet e la morte del poeta.
Come per la famiglia Allende, anche la Fondazione Neruda non dà credito a questa nuova ipotesi. Il premio Nobel era malato, questo è certo. Che le sue condizioni fossero peggiorate con la notizia del golpe, anche questo trova traccia nelle cartelle cliniche. Ma nel Cile di oggi, alle prese con una crisi sociale che la crescita economica non è riuscita a cancellare, il passato sembra archiviabile solo se “morto due volte”.

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