È morto Adolfas Mekas, il cinema «rosso sangue»

Fu un vero shock. Erano film d’arte, liberi e dissacranti, in 16mm, bianco e nero, «grezzi e mal fatti, ma vitali, non mistificatori, non rosa, non persuasivi. E invece rosso sangue». Alla corruzione dell’epoca maccartista eretta a tronfia realtà  unica, al manierismo in technicolor d’epoca cool-Hollywood che imbellettava il cupo grigiore imperante, contrapposero il gesto beat e le armonie derisorie del bebop, la cinepresa in detour, rivolta sempre verso il basso del corpo e del corpo sociale, caricata di potenziale satirico indomabile. Era lì nel sottosuolo che brillava la vita. Bastava occuparsi di «quel che succede dentro l’uomo».

Fu un vero shock. Erano film d’arte, liberi e dissacranti, in 16mm, bianco e nero, «grezzi e mal fatti, ma vitali, non mistificatori, non rosa, non persuasivi. E invece rosso sangue». Alla corruzione dell’epoca maccartista eretta a tronfia realtà  unica, al manierismo in technicolor d’epoca cool-Hollywood che imbellettava il cupo grigiore imperante, contrapposero il gesto beat e le armonie derisorie del bebop, la cinepresa in detour, rivolta sempre verso il basso del corpo e del corpo sociale, caricata di potenziale satirico indomabile. Era lì nel sottosuolo che brillava la vita. Bastava occuparsi di «quel che succede dentro l’uomo».

Il Filmstudio di Roma, e Annabella Miscuglio soprattutto, diffonderà nell’Italia presessantottina questi tesori indipendenti che avevano riarrangiato la musica degli sguardi, in direzione di un altro cinema, quello aperto da un’altra donna, Maya Deren (esule comunista ucraina in Usa, che riprese nel ’47 il filo rosso interrotto – a forza, in Urss – delle avanguardie formaliste). E così abbiamo visto Guns of the trees (1961), ispirato a Allen Ginsberg; la farsa Halleluja the Hills, il triangolo d’amore più slapstick e svitato della storia (e non solo del Vermont); The brig (1964) che riprendendo uno spettacolo agghiacciante del Living Theatre sulle carceri dei marines, congela le psicopatologie deviate della «religione militarista» che porterà ai riti satanici di Guantanamo (miglior documentario alla Mostra di Venezia).
L’autore di questi capolavori nascosti e braccati è morto d’infarto martedì scorso a Poughkeepsie (N.Y.). È Adolfas Mekas, filmmaker totale, scrittore e animatore della scena underground newyorkese dagli anni 60. Nato il 30 settembre 1925 a Semeniskiac (Lituania), figlio di intellettuale-contadino, immigrato nel 1949 negli Stati Uniti con l’ancor più celebre e attivo fratello Jonas Mekas (reduce dai lager nazisti e da studi a Francoforte), 10 dollari in tasca. Attratto pur non ebreo dall’utopia amara di Israele, fondò nella metropoli eccitante e tentacolare («sembrava Il Cairo»), nel 1954, il sofisticato periodico in inglese (lo masticava ancora male) Film Culture (copertina bianca e rossa), più che una rivista perché ha combattuto fino agli anni 90 entusiasmanti battaglie teoriche e pratiche per realizzare, distribuire e difendere il cinema più libero formalmente, più radicale politicamente e più autonomo finanziariamente, ispirandosi alle avanguardie storiche scodellate dalla storia oltreoceano e difendendo anche cineasti classici dimenticati, Griffith, Dwan, Hawks, von Sternberg… Tra i collaboratori Sitney, Sarris, Leacock, Arnheim e Bodganovich. Celebra la polemica contro John Cassevetes per aver accettato di rimontare, distruggendolo, Ombre. Del 1960 è la fondazione del New America Cinema Group (poi Filmmakers Cooperative) che diffuse in tutto il mondo (e, tuttora, all’Anthology Film Archive di Manhattan) le opere sovversive di Stan Brakhage, Gregory Markopoulos, Shirley Clarke, Robert Breer, Ron Rice, Piero Heliczer, Andy Warhol…i cattivi maestri della insorgente new Hollywood, McBride, Hellman, Coppola, Lucas, Milius, Coppola… Non a caso Mekas insegnerà al Bard College di Annandale-on Hudson, fino al 1994. Tra gli altri suoi lavori il Vietnam-film anti Fbi Windflowers (1968), Companeras e companeros (1970), girato a Cuba, Going Home (1972), diario di viaggio nella natia Lituania e, in lavorazione, Burn Bruno burn, sul filosofo Giordano Bruno («il primo beatnick»).

0 comments

Leave a Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Sign In

Reset Your Password