Marco Revelli: “Liquidare D’Alema e Veltroni”

Lo storico: basta protagonismi, la sinistra impari ad ascoltare

Lo storico: basta protagonismi, la sinistra impari ad ascoltare

Le urne “in movimento” hanno sfornato un dissenso nuovo: B. a picco, assieme agli apparati. “Ha vinto una parte dell’opposizione combattiva nei confronti di Berlusconi, ma anche nei confronti di un’opposizione composta da partiti non-governanti, più che da veri oppositori”, ha detto Barbara Spinelli al Fatto. Ma definirla, per indirizzarla verso nuovi progetti e altre vittorie è operazione complicata. Marco Revelli, storico e politologo dell’Università del Piemonte Orientale, manda un avviso ai dirigenti della sinistra: cambiare formula, e non in superficie. Ascoltare, non litigare. Riscoprire la pratica dell’umiltà, non è più tempo di protagonismi . Esordisce così: “Il segnale di liberazione è che la macchina narrativa di Berlusconi si è rotta. È stato sconfitto uno stile politico, un tipo umano. Giuliano Pisapia ha imposto, assieme al programma, uno stile personale fatto di ironia e sorriso. Che risponde alle grida berlusconiane con i sussurri e la pacatezza dell’Italia civile. Vorrei aggiungere: con la gentilezza”.
Si è detto: hanno perso le nomenklature.
A Napoli e Milano, non c’è dubbio, si è trattato di vittorie personali. Nelle quali in primo piano ci sono i candidati e molto, molto indietro, gli apparati. Che nel caso di Napoli poi sono stati addirittura sconfitti. Tra l’altro per Napoli eleggere un magistrato, un pm, è stata una rivoluzione copernicana.
Bersani, Vendola, Di Pietro: sono anche “apparati”. Sapranno cambiare l’abitudine del loro agire politico?
Devono anteporre la logica dell’ascolto a quella del protagonismo. Se la dimensione personale si esprime nella pratica dell’umiltà, anziché in quella del narcisismo, siamo sulla strada giusta.
Il battibecco tra Pisapia e Vendola è una spia?
Mi sembra sia stato molto ben ricomposto.
Nessun problema di “doppia leadership”?
I problemi cominciano ora per la costruzione del governo delle città. Ma c’è stato uno strappo politico evidente.
Strappo rispetto a cosa?
È la nemesi dell 2007-2008, quando venne avanti un’idea di bipartitismo egemonico, di cui erano protagonisti Berlusconi e Veltroni: il predellino contro il Lingotto. Orrendo. Questi risultati dicono che quel progetto è naufragato.
Ora si tratta di capire come costruire una forza in grado di vincere le politiche.
Mi pare che Bersani abbia capito che il percorso dell’autosufficienza è tramontato. Ma sarebbe superficiale pensare che l’alternativa sia l’Ulivo, un assemblaggio di sigle o accordi di vertice. Non è questa la direzione indicata dal voto.
Quale, allora?
Le campagne elettorali di Napoli e Milano sono state affidate all’ascolto, pratica sconosciuta alle oligarchie dei partiti di sinistra. Dalle urne è uscita un’Italia che torna a partecipare, dopo che la partecipazione era stata fortemente umiliata, ma che pretende rispetto e attenzione.
L’opposto del populismo?
Sì, perché il populismo è il leader che finge di parlare con il popolo. Qui si tratterebbe di una leadership di-sposta a sciogliersi nel proprio popolo.
Vendola ha detto: a sinistra non c’è tempo per le beghe personali. Buona intenzione, ma di facile attuazione?
È un buon inizio, se è sincero. Mi pare un buon esempio il rapporto tra Stefano Boeri e Giuliano Pisapia, cioè due che si erano contesi la candidatura durante primarie molto combattute. E dal giorno dopo hanno stabilito una stretta collaborazione. Il contrario di quello che mise in scena la coalizione del 2006, per diffidenze reciproche e competizioni interne, spesso di tipo personali.
È una mutazione antropologica nei partiti della sinistra?
Sì, forse bisognerà anche liquidare una parte della classe dirigente che non è in grado di fare questa operazione.
Pensa a qualcuno in particolare?
D’Alema e Veltroni: mi pare molto evidente. Ma mi preoccupano anche i conflitti tra Di Pietro e la leadership del Pd. E penso all’atroce scissione dell’atomo che distrusse Rifondazione comunista. Tutto questo non è più tollerabile.
Non basta essere uniti per vincere?
La bandiera dell’unità non serve a niente se è un mezzo: dev’essere sostanza, antidoto al degrado della politica.
Di Pietro ha detto: “Queste amministrative hanno dimostrato che una coalizione di Pd, Idv, Sel è possibile”.
Vabbè è quasi una banalità. Ma ripeto non è condizione sufficiente. Si discute dell’involucro e non del tipo di relazione che si stabilisce tra questi soggetti.
I referendum sono un altro banco di prova: lo sforzo che i partiti di sinistra faranno nella campagna elettorale sarà ripagato in termini di consenso?
La prossima consultazione può essere la dimostrazione che i cittadini riescono a prendere in mano il proprio destino su questioni essenziali. Per 17 anni gli italiani si sono dimenticati dei propri interessi, in un totale oblio del bene comune.

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