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Sopravvivere allo sviluppo

Nonostante venga contestato da più di trent’anni con analisi puntuali e da un numero infinito di lotte, lo Sviluppo è ancora il mantra che muove il mondo. Un’idea originata in un determinato periodo storico è diventata un’ovvietà  valida per sempre. Wolfgang Sachs ha raccontato la genesi del concetto miracoloso in “Archeologia dello sviluppo”, undici articoli pubblicati sulle pagine del “manifesto”, diventato un libro pietra miliare.

Nonostante venga contestato da più di trent’anni con analisi puntuali e da un numero infinito di lotte, lo Sviluppo è ancora il mantra che muove il mondo. Un’idea originata in un determinato periodo storico è diventata un’ovvietà  valida per sempre. Wolfgang Sachs ha raccontato la genesi del concetto miracoloso in “Archeologia dello sviluppo”, undici articoli pubblicati sulle pagine del “manifesto”, diventato un libro pietra miliare.

 Era il 1949 e il presidente Truman, con un discorso al Congresso degli Stati Uniti, lanciava un programma di crescita delle aree che definiva “sottosviluppate”. Prima esistevano Paesi ricchi e Paesi poveri ma non miserabili, economie diverse, comunità locali con il loro modo di vivere ma da allora il mondo si divide in sviluppati e sottosviluppati. In mezzo secolo la politica degli aiuti, i progetti della Banca mondiale e i piani di ristrutturazione del Fondo monetario internazionale, l’egemonia politica dell’Occidente hanno diffuso su tutto il pianeta i capisaldi dell’ideologia dello sviluppo: economia di crescita, libero mercato, industrializzazione e grandi opere.
La critica dello sviluppo, pionieri Illich , Gandhi e Pasolini, nasce dalla luce puntata sul suo lato oscuro: la distruzione della natura e la violenza sulle popolazioni più deboli. Il testo storico è “I limiti dello sviluppo”, il rapporto elaborato dal MIT su incarico del Club di Roma, punto centrale l’impossibilità di crescere secondo i ritmi precedenti per la limitatezza delle risorse naturali. Le analisi si moltiplicano. Sempre nel 1972 Teddy Goldsmith scrive “Blueprint for survival”, un’agenda per far fronte ai disastri ambientali; nel 1973 Ernst F. Schumacher con “Piccolo è bello” propone tecnologie adatte e un’economia buddista, con più qualità e meno consumi; nel 1990 Vandana Shiva in”Sopravvivere allo sviluppo” evoca un principio creativo femminile proprio della cultura induista; Serge Latouche insiste sulla decolonizzazione dell’immaginario, e negli anni Duemila lancia la decrescita conviviale. Ma non è soltanto critica. Un tentativo di correggere la marcia dello sviluppo è la sostenibilità raccomandata dal rapporto Brundtland dell’Onu. Ovunque nel mondo intellettuali, scienziati e attivisti studiano nuovi modelli di benessere, sperimentano pratiche innovative attente alla qualità della vita, recuperano saperi tradizionali. Il Wuppertal Institut descrive persino una “Germania sostenibile”. Cambiare è possibile.
Nel 1972 succede anche che il re del Bhutan inventi l’indice di Felicità Interna Lorda, in luogo del Prodotto Interno Lordo, sulla base di valori buddisti. E’ il primo passo di una contestazione del PIL, fondato su indicatori obsoleti ma ancora cardine dell’economia, che negli anni 2000 vedrà in prima linea anche i Nobel. Comincia a farsi strada un’economia diversa, attenta alla natura e al lavoro. L’attuale è diventata ormai una fede più che una disciplina. Già Karl Polanyi nella “Grande trasformazione” riteneva l’economia di mercato una fase solo del nostro tempo che se non fosse stata ostacolata nel perseguire l’utopia dei mercati che si autoregolano, avrebbe distrutto l’uomo e reso l’ambiente un deserto.

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