I nazisti della porta accanto tutti casa e giardino

Condannati per la strage di Fucecchio, vivono tranquilli in Germania
Trucidarono 184 persone: tra le loro vittime anche 27 bambini
Esecutori della strage di Fucecchio, sono tornati ai loro paesi dopo la guerra

Condannati per la strage di Fucecchio, vivono tranquilli in Germania
Trucidarono 184 persone: tra le loro vittime anche 27 bambini
Esecutori della strage di Fucecchio, sono tornati ai loro paesi dopo la guerra

Entrambi gli ex militari si sono sposati e hanno avuto dei figli
Tutti e due hanno occupato importanti posizioni nelle aziende in cui hanno lavorato
I vicini non credono alle accuse: «Non è possibile che sia proprio lui Ma del suo passato non ha mai parlato»
La moglie di Riss confessa «Siamo stati a Monaco e ci hanno detto di non dire nulla agli italiani»

A Padule di Fucecchio, in Toscana, la carneficina cominciò alle 5 e finì nove ore dopo, nel primo pomeriggio del 23 agosto 1944: a terra, trucidati dai nazisti della 26ª divisione corazzata dell’esercito tedesco restarono i cadaveri di 184 persone: 94 uomini, 63 donne, 27 bambini, neanche un soldato. A un’anziana contadina, invalida e cieca venne messa una bomba a mano nella tasca del grembiule. I nazisti perlustrarono tutti i casolari della zona, tra Firenze e Pistoia, forse in cerca di partigiani, ma l’eccidio colpì solo contadini e sfollati in fuga dai bombardamenti. Pochi giorni fa il Tribunale militare di Roma ha inflitto la pena dell’ergastolo a tre ex soldati della 26ª divisione corazzata nazista: Fritz Jauss, Ernest Pist e Johan Riss, oggi novantenni. Un quarto imputato, Gherard Deissmann, è morto a 100 anni, durante il processo. Il procuratore capo Marco De Paolis ha dimostrato la loro diretta partecipazione alla strage. E’ stato disposto anche un maxi risarcimento ai familiari delle vittime costituitisi parte civile di 13 milioni, provvisionale, a carico degli imputati e del responsabile civile, la Repubblica Federale di Germania.

La vita sorride all’ex sergente dell’esercito nazista Johann Riss. A novant’anni esce ancora di buon mattino sull’Audi metallizzata, per portare la moglie Irene a fare le commissioni.
Il pomeriggio lo dedica interamente alla grande passione della sua vecchiaia. Bagna i fiori del giardino, pulisce le piante ramo per ramo, cura gli ortaggi che porterà a tavola per cena: questa sera asparagi bianchi. Ma solo dopo quattro ore con la schiena piegata nel campo, sul retro della villetta ordinatissima, nella zona residenziale di Kaufbeuren, a cento chilometri da Monaco di Baviera.
Non è vero che le sue condizioni fisiche gli hanno impedito di partecipare al processo, concluso una settimana fa, davanti al Tribunale Militare di Roma. L’ex sergente Johann Riss, con altri due militari della ventiseiesima divisione corazzata dell’esercito tedesco, è stato condannato all’ergastolo per l’eccidio di Fucecchio.
er aver trucidato 184 persone nelle paludi toscane, senza alcuna motivazione bellica. Erano bambini nascosti con i nonni fra i canneti, erano donne e contadini che cercavano di mettersi in salvo, negli ultimi giorni rovinosi della Seconda guerra mondiale.
Ma oggi il signor Riss non ha intenzione di parlare di questo argomento, semplicemente perché è come se non lo riguardasse. In bermuda da lavoro e camicia a mezze maniche, osserva infastidito le carte processuali intestate a suo nome: «Io non sono mai stato nazista – dice guardando le foto delle vittime – io non ho proprio niente da dire su questa storia. Nulla da riferire a Roma». Non gli piace essere fotografato, ha un moto di stizza. Ma al suo fianco, la moglie Irene aggiunge una frase importante: «Siamo stati a parlare a Monaco e ci hanno detto di non dire nulla agli italiani».
Hanno vissuto qui per 57 anni, fra le mucche al pascolo e le strade tutte uguali del paese, al riparo da qualsiasi problema giudiziario. Il signor Riss è diventato un importante dirigente della fabbrica Olympia, specializzata in macchine per scrivere. Ha avuto due figli maschi, che adesso abitano lontano: un medico e un chimico. Sono stati anni di perfetto mimetismo, a rimuovere la storia e crescere piantine. «Non ha mai parlato del suo passato – dice la signora Haible, nella villetta a fianco su Markgrafenstrasse – sta sempre in giardino, un tipo taciturno. Ma un giorno mi ha raccontato il suo grande cruccio: non poter più andare a sciare a Saint Moritz, come faceva fino a pochi anni fa».
La parola «nazista» da queste parti suscita reazioni quasi infastidite. Solo la signora Petra Reichl accetta di affrontare almeno in parte l’argomento: «Per trent’anni il signor Riss è stato il capo di mia madre all’Olympia. Un buon capo, a detta di tutti. Sul suo passato qualcosa avevo sentito, ma soltanto perché me ne ha parlato mio padre, visto che anche lui ha preso parte alla seconda guerra mondiale». Qui tutti si conoscono. Ma forse sarebbe più corretto dire che credono di conoscersi. «E’ stato un nazista? Impossibile – strabuzza gli occhi la signora Skarke – non ci credo, è il miglior vicino del mondo».
Nell’aula del Tribunale militare di Roma il pubblico ministero Marco De Paolis ha ricostruito il ruolo avuto dal sergente Riss: «Un militare di grande esperienza. Nel ‘44 aveva già cinque anni di anzianità di guerra in zona di operazioni, dove si era combattuto. Anche lui, fin dalla gioventù, apparteneva a varie associazioni naziste. Il suo incarico era capo equipaggio di uno di quei carri composto da otto persone, che costituivano la parte pesante del reparto esplorante». Secondo la sentenza di primo grado, Riss è dentro al massacro. Non un uomo di retrovia, ma un esecutore. Il problema è che la giustizia italiana pare avergli lasciato tutto il tempo necessario per una rimozione totale dei fatti. «Non sono io. E non ho nulla da dire su questa storia», ripete indicando l’apparecchio acustico, come per tagliare corto.
Siamo andati a chiedere informazioni sulle sue condizioni di salute. Quello di Kaufbeuren non potrà mai essere un ospedale qualsiasi. Qui i nazisti hanno attuato il piano T4 di eugenetica, che consisteva nella soppressione di tutti i bambini nati «imperfetti». Oggi sulla collina c’è un edifico bianco squadrato. All’ingresso un signore in divisa consulta il computer: «L’ultimo passaggio del signor Riss nelle nostre strutture sanitarie – dice – risale all’inizio di febbraio. Nulla di serio». Davvero non è stato un impedimento fisico a tenerlo lontano dal processo, ma qualcosa di più radicale: il categorico rifiuto di guardare in faccia se stesso e il suo passato. Solo così si spiega quello che il pm ha definito «un silenzio vergognoso».
Lo stesso identico silenzio che si può trovare davanti alla porta di un altro esecutore materiale della strage, duecento chilometri a Nord, in un sobborgo di Stoccarda che si chiama Leonberg.
Anche l’ex maresciallo Fritz Jauss ha preso parte a quella che è stata definita «una criminosa operazione militare di tipo terroristico». E anche lui, oggi, ammutolisce: «Non ho niente da dire su questa storia».
L’ex maresciallo Jauss ha 93 anni. E’ stato capo meccanico per la ditta Bosch. Ha tre figli, uno lavora in Comune. «Un uomo di chiesa – dice il vicino di casa, il signor Pfeiffer è stato anche consigliere comunale. Non ha mai detto una sola parola sul suo passato». Da quattro anni, assieme alla moglie Johanna, ha lasciato la villetta di Kinsberger Strasse per andare a vivere in un residence per anziani, con i balconi in serie e poche piante davanti gli occhi. Il signor Jauss alloggia al quarto piano. Ci viene ad aprire saldo sulle gambe, ancora lucido. Prima si stupisce, poi dice: «Per me la guerra è un argomento chiuso». Anche lui sembra scampato ai suoi ricordi, chiusi a chiave chissà dove.

0 comments

Leave a Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Sign In

Reset Your Password