Nucleare, dobbiamo seguire la Germania

«Dobbiamo seguire una nuova strada. Vogliamo che l’elettricità  del futuro sia sicura, affidabile ed economicamente sostenibile. Le forniture energetiche in Germania hanno bisogno di una nuova architettura». Con queste parole il cancelliere tedesco Angela Merkel chiude ufficialmente l’era del nucleare in Germania e ne apre una nuova: servono ampi sforzi, dice, per promuovere le energie rinnovabili, il miglioramento dell’efficienza e la revisione della rete elettrica.

«Dobbiamo seguire una nuova strada. Vogliamo che l’elettricità  del futuro sia sicura, affidabile ed economicamente sostenibile. Le forniture energetiche in Germania hanno bisogno di una nuova architettura». Con queste parole il cancelliere tedesco Angela Merkel chiude ufficialmente l’era del nucleare in Germania e ne apre una nuova: servono ampi sforzi, dice, per promuovere le energie rinnovabili, il miglioramento dell’efficienza e la revisione della rete elettrica.

Merkel ha parlato dopo l’annuncio del ministro dell’Ambiente Norbert Rottgen (Cdu) – per il quale la decisione è “irrevocabile” – che la coalizione di governo ha accettato di spegnere gli impianti nucleari del Paese, diventando così il primo Paese industrializzato negli ultimi 25 anni a diventare “nuclear-free”. La Germania ha in tutto 17 reattori: i sette più vecchi sono già stati spenti e la maggior parte saranno fermati entro il 2011 mentre i tre più moderni si fermeranno al più tardi a fine 2022.

Cosa è successo dal settembre 2009, quando la stessa Merkel dichiarava che la Germania non avrebbe mai rinunciato al nucleare? C’è stato il terribile incidente in Giappone, certo, che ha posto di nuovo drammaticamente al mondo intero la questione del nucleare. Ma ci sono state anche le elezioni regionali.

Proprio a marzo, dopo Fukushima, si è votato nelle regioni del Baden-Wuerttemberg, regione molto ricca, dove la Cdu governava fin dal 1953, e in Renania-Palatinato. Il partito del cancelliere subisce una delle più pesanti sconfitte della sua storia. Nel Baden-Wuerttemberg, il partito di Angela Merkel si ferma al 39 per cento, i liberaldemocratici, suoi alleati, al 5,3 per cento; dall’altra parte, i Verdi hanno ottenuto il 24,2 per cento e i socialdemocratici loro alleati il 23,1 per cento, ottenendo così, insieme, la maggioranza relativa dei voti. I Verdi hanno il loro primo presidente di regione, per giunta in una regione storicamente dominata dalla destra: il presidente uscente, il cristianodemocratico Mappus, era un forte sostenitore del nucleare, mentre il leader dei Verdi Winfried Kretschmann è notoriamente contrario. I Verdi sono andati molto bene anche in Renania-Palatinato, dove i loro voti sono addirittura triplicati arrivando al 15,4 per cento. I liberali si sono fermati prima della soglia di sbarramento del 5 per cento.

Il 21 maggio si è votato – con nuove regole elettorali per cui hanno potuto votare anche i ragazzi tra i 16 e i 18 anni – a Brema, la piccola città-stato del Nord. Socialdemocratici e Verdi vincono e continueranno a governare ma per il cancelliere Angela Merkel la prova elettorale è una nuova disfatta tanto più che il partito democristiano viene scavalcato dal movimento ecologista.

Poi, l’annuncio della Merkel sulla chiusura delle centrali nucleari. È evidente che l’altalena delle decisioni tedesche sul nucleare sia legata all’andamento delle forze politiche e in particolare dei Verdi, e alla formazione delle alleanze di governo. Già nel 2000, il governo Schroeder, comprendente Verdi e Spd, aveva annunciato ufficialmente l’intenzione di abbandonare l’uso dell’energia nucleare entro il 2020. Poi, erano arrivati la Merkel e la Fdp e il piano nucleare era stato rilanciato. Però nel 2009, con l’incidente alla centrale di Krummel, aveva subito una prima battuta d’arresto. Solo un mese prima, durante un convegno sull’energia tenutosi a Berlino, la Merkel aveva dichiarato: «La Germania non può ritirarsi dalle centrali nucleari e da quelle a carbone, ciò danneggerebbe enormemente l’industria. Questo con me non succederà».

Adesso, la Germania sembra nel pieno di una ripresa economica, le esportazioni viaggiano a pieno ritmo e la disoccupazione cala vistosamente e la bilancia commerciale è spaventosamente in attivo, tirandosi dietro anche un pezzo d’Europa. Una politica prudente come la Merkel, spesso anzi messa sotto tiro per il suo pragmatismo e il suo attendismo, e che tra l’altro sa benissimo di cosa sta parlando, visto che è stata ministro per l’Ambiente e la Conservazione della Natura dal 1994 al 1998 con un governo Kohl, non si lancia in un proclama antinucleare – questo è comunque l’effetto simbolico dell’annuncio – “a scapito” della ripresa industriale. È di un modello di sviluppo che stiamo parlando ed è di Europa che stiamo parlando.

Ed è anche di un “modello politico” che stiamo parlando, quel “compromesso” fra socialdemocratici e popolari cattolici – fra i sindacati e il capitale dell’industria – che dal secondo dopoguerra ha costituito e governato l’Europa. E che aveva al suo cuore l’industrializzazione. Non è proprio un accidente della storia, quindi, che la più forte formazione verde europea sia in Germania.

La Germania non ha mai abbandonato del tutto il suo modello renano, al contrario della Gran Bretagna della Thatcher e di Blair che hanno spinto per la privatizzazione selvaggia di ciò che era pubblico, per lo smantellamento del welfare e per l’apertura incondizionata alla finanziarizzazione internazionale e alla sua sostanziale detassazione, quel modello angloamericano della deregulation, della dismissione dello Stato, guidato da Reagan, che ha devastato il mondo negli ultimi venti anni. Ed è l’America di Obama che – sotto i colpi della crisi finanziaria – ha ripreso a parlare di green economy.

È di questo che parliamo quando parliamo di nucleare, non solo di ambiente e natura. Ma dell’importanza di un ruolo pubblico di cura nei confronti dei cittadini e di un modello di sviluppo che presta attenzione ai territori e alla loro storia. Quando si parla di biopolitica, riferendosi al controllo dei corpi che il potere ha ormai assunto e alla finalizzazione alla produzione della stessa esistenza umana, la questione del nucleare diventa centrale. E se lo statalismo soffocante – dalla culla alla tomba – dovrebbe ormai appartenere al passato, il liberismo senza legge dei mercati finanziari e delle Borse non può più condizionare il futuro.

Le notizie che arrivano dalla Germania ci parlano dunque della possibilità di una nuova Europa. Non è sulla dracma e sul salvataggio della Grecia dalla bancarotta che si gioca un nuovo ruolo politico europeo, una nuova visione dell’Europa che ci salvi dall’emergere dei neonazionalismi, come non è sulla partecipazione o meno alla guerra in Libia. L’Europa è di nuovo in torsione, quasi risucchiata all’indietro dalla propria storia. Però.

In Italia non c’è una forza politica che sia riuscita, come i Verdi tedeschi, a rappresentare insieme una nuova ideologia – come altro si può definire l’idea, laretorica che trasmettono della propria politica? – e una buona capacità amministrativa: è probabile che corrano per il sindaco di Berlino alla prossima tornata elettorale. In realtà, non c’è in nessuna parte di Europa una stessa forza, nonostante i discreti risultati in Francia. Non so dire se su questo pesi la particolare forza della sinistra, come in Francia o in Italia: anche in Germania c’è la Linke, che tiene assieme la sinistra radicale, più forte all’Est, e incassa risultati alterni, e la Spd spesso mantiene la propria forza, come a Brema, nonostante le vittorie dei Verdi. Ma lì, i Verdi riescono ad attraversare l’elettorato con i loro temi, ribaltando gli schieramenti e le appartenenze. Tenendo assieme conservazione e innovazione, ambiente e sviluppo, istituzionalismo e lotta radicale, vocazione amministrativa e partecipazione dal basso. Con una pluralità incredibile di competenze e passione, facce nuove e vecchi leader. Il vero nuovo miracolo tedesco è questo qui.

Non si tratta perciò di imitare la Germania. Si tratta di ascoltare quello che succede qui: in Sardegna, il 15-16 maggio, in occasione delle Amministrative, si è votato anche per un referendum consultivo sul nucleare. È stato un plebiscito: il 97,64 percento dei votanti ha detto Sì, contro il nucleare. È stata la più alta percentuale mai registrata per un referendum e ha avuto persino un effetto di traino per le Comunali. Il 12 e 13 giugno cerchiamo di ripetere l’impresa.

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