Il 15-M respinge l’accusa di essere responsabile della disfatta di Zapatero nelle elezioni del 22. Cinquantamila firme per chiedere che sia rimosso l’assessore che ha ordinato la carica della polizia
Il 15-M respinge l’accusa di essere responsabile della disfatta di Zapatero nelle elezioni del 22. Cinquantamila firme per chiedere che sia rimosso l’assessore che ha ordinato la carica della polizia
Dopo il brutale sgombero effettuato venerdì mattina dai Mossos d’Esquadra – i celerini catalani – a Plaza Catalunya, il movimento degli indignados, che stava discutendo se abbandonare la piazza per decentrarsi nei quartieri, si è rafforzato e radicato. Nel senso che, a questo punto, la piazza non si molla. Ieri sera l’assemblea doveva decidere fino a quando.
Già la sera di venerdì, il chilometro zero barcellonese pullulava di gente. La rituale assemblea generale delle ore venti, frequentatissima, accantonava due proposte di minoranza e decideva per consenso di rimanere in acampada anche durante e dopo la finale della Champions League, l’attesissima partita Manchester-Barcelona di sabato, poi stravinta dai blau-grana.
Vicino a un cartello con scritto «Gracias Felip Puig», (il conseller de interior catalano, responsabile dell’ordine pubblico, «ci hai fatti aumentare di numero e di forza», se ne leggeva un altro che suonava così: «Cambio la Champions con una democracia real». Fino a poco prima si discuteva se lasciar montare il maxischermo sulla piazza per celebrare anche lì la quarta coppa europea del Barca (poi è stato collocato all’Arc de Triomf).
Ringraziato ironicamente nei cartelli della piazza, il super-poliziotto catalano Felip Puig ha già provocato 50mila firme che chiedono la sua destituzione immediata per aver ordinato un pestaggio immotivato e brutale nonché un esproprio totalmente illegale di tutto quello che nella piazza capitava a portata di mano dei Mossos, dal materiale da cucina ai computer.
Il movimento 15-M accampato da due settimane nelle piazze spagnole, «pieno di entusiasmo» secondo lo scrittore Eduardo Galeano, «allegria dell’inatteso» per l’attivista 84enne Agustín García Calvo, le sue decisioni sul futuro delle acampadas le aveva già prese da tempo: apparente smobilitazione dopo le elezioni di domenica 22 per decentrarsi a livello dei quartieri, contagiando il resto della cittadinanza con le nuove idee e il gusto di discuterle. Perché se si volesse dare un solo merito alla pacifica sommossa spagnola, non si potrebbe negarle quello di aver riacceso il gusto dell’assemblea, la voglia di ascoltare e comunicare.
I primi giorni predominavano gli interventi in catalano – una lingua che è anche una rivendicazione identitaria – ma poi le richieste dei partecipanti che chiedevano l’uso dello spagnolo come lingua franca sono state accolte, ammainando forse un vessillo d’orgoglio ma aprendo le porte all’internazionalismo.
E’ rincuorante veder tracciare nell’aria, un intervento dopo l’altro, l’architettura di un mondo nuovo, degno quanto meno di essere sperimentato. Ed è impressionante la competenza dei partecipanti che, con discorsi ben argomentati, fanno proposte, soprattutto nel campo dell’economia, strabilianti eppure praticabilissime.
Come utilizzare la tassa Tobin, come formare banche popolari di mutuo soccorso, da dove cominciare per costruire un’economia basata sulla solidarietà anziché sul profitto, come finanziare progetti di autoimpiego sono argomenti che finiscono per formare il breviario di una nuova società. E se si percepiscono a volte dei déjà vu, quello che importa è la ricombinazione degli elementi. Qualunque futuro capolavoro letterario non sarà sempre scritto con le solite 25 lettere?
A livello organizzativo, gli indignados catalani hanno superato se stessi: la commissione cucina ha sfamato migliaia di persone non con i soliti papponi da mensa dei poveri ma con prodezze culinarie sfornate da professionisti del catering; la commissione giuridica è stata talmente visitata – e non solo per denunce all’autorità – che ha dovuto fare un comunicato in cui si pregava di non chiedere consulenze per i divorzi, perché non c’era il tempo; la commissione salute sconsigliava birra e alcolici ma senza proibirli; la commissione nettezza urbana ha fatto un lavoro encomiabile, evidenziando il cinismo delle forze dell’ordine, che hanno definito lo sgombero di venerdì «un’operazione di pulizia»; la commissione di rispetto è stata attenta a non inimicarsi i commercianti della zona, come è successo a Madrid.
La acampada di Plaza Catalunya durante il giorno ha l’aspetto di un grande sit-in. Dalle Ramblas, che sfociano sulla piazza, arrivano gruppi di turisti e curiosi. Anche se la densità degli indignados seduti per terra è pari a quella della selva amazzonica, ci sono dei corridoi di evacuazione per spostarsi da un lato all’altro della piazza.
«La plaza es del pueblo», «Vuestra violencia es nuestra legitimidad», «Con causa ma senza casa», «Non metteremo i nostri sogni nelle vostre urne», «Se non ci lasciate sognare non vi lasceremo dormire», alcuni fra i cartelli più fotografati.
Ma quali sono le maggiori rivendicazioni di questo movimento, giovanile ma non solo, che si vale delle esperienze di tanti movimenti anteriori e le porta un passo avanti, con allegra fermezza? Intanto, un rifiuto del sistema dei partiti, del bipolarismo alla spagnola, della legge elettorale in vigore. La richiesta di un nuovo sistema proporzionale è diretta a favorire il pluralismo e l’equità. Poi, una ferma volontà di smantellare un sistema finanziario e bancario ormai visto (e sentito) come parassitario. E ancora proposte sulla gestione dei beni comuni, sull’amministrazione cittadina partecipativa, sul rifiorire dei mercati locali, sull’alt alle multinazionali e perfino sull’istituzione di una moneta-bonus per scambiare beni e servizi all’interno della propria comunità. Il coinvolgimento dei quartieri nella discussione, sentito come un incendio che divamperà nella steppa, è la consegna delle ultime assemblee. Per approvare una mozione, gli indignados agitano le mani in alto con le dita aperte, simulando il volo di uno stormo di uccellini.
Gli storici e i cronisti dei movimenti stanno già analizzando e tracciando similitudini – quei punti di riferimento che cerchiamo come bussole – fra quello che succede in questi giorni in Plaza Catalunya (la nascita di una rivoluzione, un esperimento avanzato di democrazia diretta, la formulazione di un nuovo patto sociale, una pirotecnica assemblea permanente?) e altri movimenti apparsi in questi ultimi decenni.
Spontaneo e inatteso come il ’68 parigino, senza paura come la lotta dura del ’77 italiano, creativo e critico come gli hausbesetzer berlinesi degli anni ’80, propositivo e organizzato come lo zapatismo ciapaneco, pacifista e civilizzato come il movimento cittadino che occupò per 50 giorni il centro di Città del Messico nel 2006 per impedire il furto della presidenza e «non lasciò neanche un vetro rotto», il 15-M iberico, che agita come un vento di rinnovamento tutte le piazze di Spagna, è certo il prodotto del crollo di un benessere fittizio che è esploso come una bolla di sapone nelle mani di Rodriguez Zapatero e del Psoe.
Dopo le elezioni amministrative del 22 maggio, mentre la destra e il Partido popular credono di essere stati premiati dalle urne, invocano elezioni anticipate, forti di un quasi 10% di voti in più, e non si vogliono rendere conto che si è trattato di un voto di castigo contro il Psoe. Il movimento rifiuta ogni responsabilità nel crollo socialista. Gli indignados, ricordano, non hanno dato indicazione di voto, né di astensione, né di scheda bianca. Invece di cercare colpevoli per la sconfitta della «sinistra», rispolverano il vecchio adagio: chi è causa del suo mal…
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