Tutta sua la città  Milanesi impazziti di gioia

Dopo vent’anni cade la roccaforte del berlusconismo. La città  è felice, scende per le strade e si veste di arancione per festeggiare la nuova liberazione Il vento è cambiato davvero, centinaia di migliaia di persone celebrano una giornata indimenticabile

 

Dopo vent’anni cade la roccaforte del berlusconismo. La città  è felice, scende per le strade e si veste di arancione per festeggiare la nuova liberazione Il vento è cambiato davvero, centinaia di migliaia di persone celebrano una giornata indimenticabile

 

MILANO – Milano l’abbiamo liberata. Se lo dice Giuliano che quasi piange per la commozione, deve essere proprio così: 55,1 a 44,9. Verrebbe voglia di uscire a vedere. Ma è possibile? E adesso cosa facciamo? Prima di apparire come la madonna sul palco dell’Elfo per farsi sbranare d’amore, Giuliano (cognome Pisapia, ma non è giornata) guarda dritto negli occhi gli uomini e le donne del suo staff poi si punta l’indice alla tempia. Deve essere proprio così, è successa una cosa da matti. E ci vorrà del tempo per rendersene conto. Ci sono avvenimenti che sono troppo vasti per essere contenuti nel momento in cui accadono, quasi non c’è spazio per comprenderli tutti interi in una giornata storica che comunque deve pur sempre fare i conti con le ore che passano. Poche, sono solo ventiquattro. Le prime proiezioni, le persone che si baciano, i cori da stadio, poi un corteo che non è un corteo, è una passeggiata liberatoria verso il Duomo, come in trance, dal pomeriggio fino a notte, trasportati da quel senso di vuota euforia che quasi ti schianta quando il desiderio si cristalizza in un fatto compiuto. Felici. Ma è tutto qui? Sì, godiamocela. «Io sarò il sindaco di tutta Milano». E’ fatta, ci penseremo domani, alle piste ciclabili, alla commissione antimafia, ai tram gratis per gli over 65, alla telefonata a Napolitano e alle congratulazioni della Moratti.
Questo è un avvenimento che Milano aspettava da almeno vent’anni, da generazioni, quinquenni di frustrazioni reiterate, elezioni dopo elezioni: perché noi non vincevamo mai. Il senso di tutto ciò lo coglieremo più avanti, nell’avvenire, perché del 30 maggio 2011 conserveremo la memoria a lungo. Ieri centinaia di migliaia di persone erano intente a costruirsi un ricordo cui aggrapparsi per sempre, per questo c’erano in giro un sacco di bambini, anche due neonati gemelli (Giuliano e Giuliana?) che dormivano nonostante gli olè e i cori da stadio che accompagnavano le proiezioni, gli unici due esserini che hanno rubacchiato la scena melensa al nuovo sindaco della città: che culo! fateli benedire… il futuro siamo noi… cioè loro…
Ma un avvenimento come questo per essere compreso chiede un posticino anche al tempo che l’ha preceduto, mesi di intensa campagna elettorale (ma questa è cronaca) e soprattutto di gesti quotidiani; i piccoli segnali del passato più recente, anche solo le ultime ore dell’attesa, con le automobili in doppia fila con le doppie frecce (ma arancioni) e il colore dei tram di Milano (che solo gialli, ma di un giallo-arancione) e le pettorine degli operai che lavorano nei cantieri (Milano è un cantiere) che sono dello stesso colore e i cani coi i fiocchetti arancioni sul collare, e l’arcobaleno e le ragazze con i fiori appuntati sulle magliette che non si possono non guardare, e le sere al bar a chiacchierare di politica (?), col rhum al posto della grappa per via di quei riflessi… che tendono all’arancione.
Giuliano Pisapia non poteva non vincere. «Noi cambieremo insieme Milano come la vogliamo». E la vibrazione fa il giro del mondo, arrivano messaggi di congratulazioni e di lacrime da Zurigo, da Madrid, dall’Arizona, da Cesenatico, da Belfast, dall’Africa…Da Milano si scappava, adesso viene voglia di tornarci. Uscire per vedere è un attimo. Già corso Buenos Aires, un schifo di corso, viene quasi voglia di volergli bene. Tutti corrono in Duomo, a piedi, in bicicletta, strombazzano, occupano la carreggiata, anche se Giuliano, che si è già fatto teletrasportare in piazza, ha chiesto di «non bloccare il traffico, per favore». Sindaco, per favore! La notte se ne va così, dentro e fuori piazza Duomo, perché tornare a casa è un vero peccato. Tutti si salutano, sorridono, è che non sono abituati – «Ma quella la conosci?», «Chi io? Mai vista!». Mai viste tante persone felici tutte insieme, impensabile che gli avversari non rimangano coinvolti. «Lupi, ti mangiaaamo!» è solo una battuta, l’aria è che sul carro del vincitore ci sarebbe spazio anche per gli altri, per quelli tristi che fanno finta di niente.
E’ una di quelle giornate magiche che terminano all’alba e che un giorno, chissà, forse ci racconteranno che hanno inciso sull’incremento delle nascite. E se questo è troppo, da una giornata come questa qualcosa di sicuro ne salterà fuori, libri, canzoni, film, nuovi cocktail, Armani che rivaluterà le tinte arancio, la fine di Berlusconi, piccoli o grandi pezzi di una storia che sembra ricominciare e che non poteva ripartire se non da qui.
Ovunque ci sono senzazioni positive, una gioia qusi infantile, si incrociano persone di sinistra (?) che «tu qui? non me lo sarei mai aspettato» – «ciao è un piacere», maschi che si baciano – e invece stavano aspettando tutti la stessa cosa: sentirsi più liberi, almeno un pochino. Ha ragione Giuliano, Milano è già cambiata. Non è più la stessa città se il compassato segretario della Camera del Lavoro si sbraccia come un bambino in mezzo alla strada (senza aver chiesto il permesso al prefetto), se un ex «comunista così!» come Luciano Muhlbauer, l’uomo «del movimento» di Pisapia, sgomma su una moto urlando «sto andando a beccare la Digos», se Maurizio Baruffi, il portavoce ufficiale, parla già come un uomo di Stato, ma rimane simpatico. Se un automobile della polizia locale dell’ex vicesindaco De Corato – un incubo – viene invitata dalla folla a piantarla con gli sgomberi dei poveracci e una vigilessa arrossisce balbettando che gli sgomberi non li ha mai fatti. Viene da credergli, perché sembra felice anche lei.
Di questa piazza Duomo rimarranno per sempre le fotografie e i filmati e qualcuno le paragonerà a quelle di un’altra liberazione. Il palco è di tutti, le parole sono in libertà. Umberto Eco, Paolo Rossi, Claudio Bisio a Lella Costa, Serena Dandini («venuta a respirare un po’ di aria»), Piero Fassino, Stefano Boeri… e tanti altri che qui non ci avevano mai messo piede.
Ormai è chiaro, Milano libera tutti.

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