La seconda vita degli ergastolani nazisti mai finiti in carcere
Condannati con sentenza definitiva vivono liberi in Germania Respinti i mandati d’arresto italiani, Berlino nega l’estradizione
La seconda vita degli ergastolani nazisti mai finiti in carcere
Condannati con sentenza definitiva vivono liberi in Germania Respinti i mandati d’arresto italiani, Berlino nega l’estradizione
17 criminali di guerra. Tanti sono i criminali di guerra nazisti condannati all’ergastolo con sentenza definitiva che vivono liberi in Germania
Fuori dalla storia e da qualsiasi prigione: 17 ex criminali di guerra nazisti, condannanti all’ergastolo con sentenza definitiva, vivono nelle loro case in Germania al riparo da ogni forma di giustizia. Sono invecchiati dentro seconde vite apparentemente normali, mimetizzati fra parenti, amici ed ex colleghi di lavoro. Non hanno mai partecipato alle udienze che li riguardavano. Distanti. Contumaci. In silenzio. Come protagonisti di una rimozione autorizzata. Perché tutti i mandati d’arresto spiccati dai magistrati italiani nei loro confronti sono stati rispediti al mittente. Il governo tedesco non concede l’estradizione.
Il dato emerge dopo che un altro processo, istruito dalla Procura militare di Roma, è arrivato a sentenza. Mercoledì sera tre ex soldati nazisti sono stati condannati all’ergastolo in primo grado per l’eccidio di Fucecchio. Nella campagna toscana, all’alba del 23 agosto 1944, vennero trucidate 184 persone: 94 uomini, 63 donne, 27 bambini, neanche un soldato. A un’anziana contadina, invalida e cieca venne messa una bomba a mano nella tasca del grembiule.
Il procuratore capo Marco De Paolis ha dimostrato la diretta partecipazione alla strage di tre ex soldati della 26ª divisione corazzata nazista: Fritz Jauss, Ernest Pist e Johan Riss, oggi novantenni. Ma anche loro, come gli altri 17, probabilmente non sconteranno mai la pena, anche se la sentenza venisse confermata in Cassazione. E non solo per l’età.
Di fatto restano impunite la strage di Sant’Anna di Stazzema, 560 vittime e 8 condannati. L’eccidio di Marzabotto, 770 morti e tre ergastoli. Quelli di Civitella Val di Chiana, Cornia e San Pancrazio -244 trucidati – per cui sono stati chiesti e ottenuti 3 ergastoli. Come per altri nomi di una geografia tragica, che non deve essere dimenticata: Branzolino e San Tomè, la Certosa di Farneta e Falzano di Cortona. Ma finora la giustizia italiana si è quasi sempre fermata un passo prima del confine tedesco.
Pier Paolo Rivello, presidente del Tribunale militare di Sorveglianza di Roma, è stato a capo della Procura Militare di Torino. Ha indagato a lungo sui crimini nazisti, ha affrontato processi e scritto due libri sul tema. Il più recente incentrato sulle stragi nell’albenganese, l’altro con un titolo emblematico: «Quale giustizia per i crimini nazisti?». Cosa resta alla fine di questo difficilissimo lavoro da minatori, cercando di ricostruire fatti di 50 anni fa, quasi sempre in assenza di testimoni oculari, in grado di riconoscere i responsabili? Il procuratore Rivello ha ottenuto due condanne all’ergastolo. E poi?
«Una richiesta secca di estradizione non produce risultati – spiega – per questo credo sia molto importante tentare altre strade. Alla luce delle recenti convenzioni internazionali, si può chiedere che la pena venga scontata in Germania. L’alternativa è chiedere ai magistrati tedeschi di istruire un processo sugli stessi fatti. Il principio è: o consegnare o giudicare». E’ il caso capitato al «boia di Genova», Siegfried Engel. Condannato all’ergastolo per la strage della Benedicta, proprio grazie alle indagini del procuratore Rivello. Negata l’estradizione, è stato processato anche in Germania. Condannato in primo grado a sette anni, alla fine il reato è stato prescritto.
C’è poi anche l’eccezione di Michael «Mischa» Seifert, nazista di origini ucraine, accusato anche di aver cavato gli occhi ad alcune delle sue vittime. «Viveva in Canada sotto falso nome – spiega Rivello è stato condannato all’ergastolo dal Tribunale Militare di Verona. E in quel caso, l’estradizione è stata concessa. Ha scontato due anni di carcere in Italia». Una vicenda che può ricordare quello dell’ex capitano delle SS Erich Priebke, responsabile del massacro delle fosse Ardeatine. Estradato in Italia dall’Argentina, condannato. Ma ora, a 97 anni, sta scontando la pena ai domiciliari. Anche se è stato fotografato in un ristorante di Roma. Anche se ha ottenuto il permesso di uscire «per fare la spesa, andare a messa, in farmacia e affrontare indispensabili esigenze di vita». Sembrano conti impossibili da chiudere. «La parola giusta non è frustrazione spiega il procuratore Rivello – io provo indignazione per il fatto che dal ‘46 al ‘94 non sia stato fatto nulla contro i crimini nazisti». Ma questa è un’altra storia, tutta italiana. Quella del famigerato armadio della vergogna, dei fascicoli dimenticati in un polveroso sgabuzzino della Procura Militare. Prima del ‘94 non sono stati celebrati processi. Meno di dieci fino al 2002. Oggi sono 20 in tutto. E ancora arrivano uomini e donne claudicanti in aula, con i loro ricordi spaventosi, risuonano i nomi dei parenti trucidati. Ma è una giustizia che resta quasi sempre sulla carta.
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