Nakba e svolte arabe

La Palestina non è più soltanto memoria

 

La Palestina non è più soltanto memoria

 

Sono passati 63 anni dal 15 maggio 1948, quando una parte del popolo ebraico sopravissuto alla tragedia della Shoa, culmine di secoli di inenarrabili persecuzioni, proclamò la creazione del proprio stato nazionale sulla maggior parte della terra di Palestina, dopo averla «svuotata» della sua popolazione. Ancora oggi la cacciata dei palestinesi viene riportata come «esodo», termine ingannevole che nasconde una spietata pulizia etnica. La letteratura palestinese narra con passione quella catastrofe, documentata anche dagli storici israeliani come Ilan Pappe che conclude il suo libro «La pulizia etnica della Palestina» affermando che, per lo svuotamento di ogni città e villaggio, furono commessi massacri contro popolazioni inermi. Quando Israele celebra la sua indipendenza, riaffiora in noi un tormento che continua. Ci sono voluti anni di lotta in condizioni avverse perché la Palestina, cancellata dalla geografia, continuasse ad essere una questione politica e una causa nazionale e non semplicemente problema di profughi. I giovani della nuova generazione palestinese sono stati costretti a sopravvivere in una crudele realtà e a patire, ovunque, nell’arbitrarietà assoluta solo perché non-cittadini di nessuno stato, in una desolata terra di nessuno, rimasticando all’infinito quello che furono e trasmettendo le proprie storie e quelle dei loro villaggi e città. La loro storia, ignorata in occidente, è totalmente condivisa in tutta la regione. Le varie tappe della lotta del popolo palestinese hanno da sempre ispirato le avanguardie del mondo arabo. Ma ora, dopo i recenti cambiamenti, quella diffusa identificazione con i palestinesi – lo abbiamo verificato direttamente – si è palesata in modo più evidente al Cairo e a Tunisi dove la gente si sente più protagonista e libera di esprimere i propri sentimenti. 

Sfumati i tentativi di normalizzazione forzata col mondo arabo, ieri, per Israele è stato come ripiombare in un incubo per le manifestazioni palestinesi per la Nakba partite dai paesi arabi e arrivate dentro i territori occupati. I commenti della stampa israeliana hanno posto l’accento sul pericolo incombente dell’«arma delle masse» che nasce dal trionfo del processo democratico appena cominciato e per l’errore di Obama che non avrebbe sostenuto i regimi corrotti. Siamo ancora all’inizio ma, nonostante tutti gli ostacoli, il vento della libertà soffia forte su tutto il mondo arabo. La risposta israeliana isterica «contro le masse», dimostra che la sua classe politica è in un inesorabile declino da delirio, incapace di leggere una realtà che cambia.
Anche Abu Mazen ha dichiarato tre giorni di lutto per le vittime. Le manifestazioni per la Nakba hanno rivelato l’unità di fondo di tutti i palestinesi – politicamente ritrovata con gli accordi del Cairo. Si sono mossi in sintonia con i loro coetanei del mondo arabo, stavolta anche loro capaci di conferire o rimuovere legittimità ai propri governanti e di indicare che sono esauriti i margini di un accordo al ribasso per assecondare le pretese della destra israeliana.
Ancora e non per molto tempo, Israele dispone di un forte sostegno occidentale che comincia ad incrinarsi e ad essere condizionato e di qualche arnese vecchio ed impresentabile nel mondo arabo. Ma il futuro sta da un’altra parte, lo dimostra perfino la dichiarazione del presidente Napolitano fatta ieri per elevare la rappresentanza palestinese a Roma al rango di ambasciata. Non c’è ancora lo Stato, ma sarà sempre di più una fonte di imbarazzo e contraddizione per il governo israeliano e un peso ingombrante per i suoi sostenitori.

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