Amnesty presenta i conti

IL RAPPORTO Accusata l’Italia per il trattamento dei migranti, esaltate le rivolte in Nordafrica e Medioriente
«La vera forza motrice della lotta per i diritti umani sono le comunità  più colpite dalle violazioni»

IL RAPPORTO Accusata l’Italia per il trattamento dei migranti, esaltate le rivolte in Nordafrica e Medioriente
«La vera forza motrice della lotta per i diritti umani sono le comunità  più colpite dalle violazioni»

 «Meglio accendere una candela che maledire l’oscurità». In un’affollata conferenza stampa, ieri a Roma, la presidente di Amnesty international in Italia, Christine Welse, ha riassunto con questo antico detto cinese la filosofia dell’organizzazione umanitaria. Il 28 maggio, Amnesty accenderà per sé 50 candeline, per festeggiare mezzo secolo di battaglie per i diritti umani : «Una rivoluzione – ha affermato Welse – che oggi è vicina a un cambiamento storico». Il vento di libertà e la domanda di giustizia che arrivano dal Medioriente e dal Nordafrica, insieme all’aumentata presenza di media comunitari, offrono infatti un’inedita opportunità: «ma questo cambiamento corre sul filo dei rasoio», ha detto ancora la presidente di Amnesty presentando il rapporto annuale dell’organizzazione. Il Rapporto 2011 (edito da Fandango libri) ha monitorato la situazione dei diritti umani in 157 paesi e territori. Ha documentato casi di tortura o di altre forme di maltrattamento in almeno 98 paesi (a fronte dei 111 nel 2009). Ha indagato processi iniqui in almeno 54 paesi (54 nel 2009). Secondo l’indagine annuale, due terzi della popolazione mondiale non ha avuto possibilità di accesso alla giustizia a causa di sistemi giudiziari assenti, corrotti o discriminatori. Fra i più colpiti, i palestinesi. Amnesty cita un dettagliato rapporto sull’impunità pubblicato a ottobre dall’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem, secondo il quale tra il 2006 e il 2009 i militari israeliani hanno ucciso 1510 palestinesi, escludendo quelli ammazzati durante l’operazione «Piombo fuso». Di questi, «617, tra cui 104 minori di 18 anni, non prendevano parte ad alcuna ostilità quando sono stati uccisi». B’Tselem ha invocato un’inchiesta sulle 288 uccisioni commesse in 148 episodi, la maggior parte delle quali nella Striscia di Gaza, ma le poche volte che è stata aperta un’indagine, si è conclusa con l’archiviazione e «senza alcun procedimento nei confronti dei soldati coinvolti».

Eppure «la vera forza motrice della lotta per la difesa dei diritti umani sono proprio le comunità più colpite dalle violazioni», a cui Amnesty dedica il volume. Con la loro determinazione e caparbietà, infatti, queste persone hanno dato fiducia a milioni di altre «e hanno reso difficile per gli stati ignorare la sempre più forte richiesta di un cambiamento, che sia finalmente sostanziale e irreversibile».
Un cambiamento che, nel 2010, si è messo in moto anche attraverso il mondo virtuale, grazie all’impegno di giornalisti e attivisti che «hanno utilizzato le nuove tecnologie per promuovere campagne a favore dei diritti umani in modo innovativo e creativo». Diritti umani in digitale nei movimenti di rivolta in Medioriente e Nordafrica: dai suicidi dei giovani diplomati che hanno infiammato la Tunisia, alle piazze che hanno sfidato la repressione in Egitto, e che continuano a farlo nello Yemen, in Siria o nel Bahrein. Una parte importante del volume, documenta il lavoro di Amnesty in favore dei migranti e dei rom, e chiama in causa le responsabilità del governo italiano. Al capitolo Libano, Amnesty registra le accuse di faziosità rivolte alla Corte penale internazionale, per aver puntato il dito senza prove contro il partito Hezbollah per l’omicidio Hariri. Eppure, sulla necessità di far conto sulla Cpn anche nella questione Libia e nell’imputazione di Gheddafi, Amnesty non ha dubbi: «Io credo – dice al manifesto Riccardo Noury che il fatto senza precedenti di aver deferito alla Corte penale internazionale il caso Libia apra la strada a uno sviluppo importante, non solo per incriminare Gheddafi e il suo regime, ma per perseguire altri potenti quando sono ancora nell’esercizio delle loro funzioni». La posizione di Amnesty sull’intervento armato in Libia? Risponde Noury: «Da sempre, Amnesty non ha una posizione a favore o contro gli interventi armati. Prendiamo atto che c’è stata una grande enfasi nella risoluzione del Consiglio di sicurezza sulla protezione dei civili e qualunque cosa accada di operativo sullo scenario militare che vada contro la protezione dei civili sarà evidentemente una enorme contraddizione». Quella dell’intervento militare, per Noury, è comunque «una questione problematica». Amnesty chiede «il rispetto del diritto internazionale umanitario a tutte le parti in conflitto: alle forze internazionali, alle forze di Gheddafi e a quelle dei ribelli. A Misurata stanno avvenendo probabili crimini di guerra di cui Gheddafi dovrà rispondere. Abbiamo una nostra missione lì e stiamo monitorando attraverso altre fonti quello che accade in altri luoghi nei quali si dice vi siano stati attacchi sproporzionati delle forze militari, indiscriminati o contro obiettivi non militari».
Ma perché i popoli non possono risolvere i loro problemi senza l’intervento o l’ingerenza di potenze imperialiste che provocano disastri ancora peggiori? Dice ancora Noury «Se ci fossero politiche di cooperazione con quei paesi rispettose dei diritti umani, non ci sarebbe nessun bisogno di interventi. Dar voce agli attivisti e ai dissidenti, alle loro denunce è il modo migliore per creare le condizioni in cui i diritti umani siano rispettati e la popolazione sia protagonista»

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