Erranze politicamente corrette per centocinquantanni di storia

 INCONTRI AL LINGOTTO
Inaugurata la mostra «1861-2011. L’Italia dei libri». Molte presenze, qualche discutibile assenza. Cancellato il Sessantotto

 INCONTRI AL LINGOTTO
Inaugurata la mostra «1861-2011. L’Italia dei libri». Molte presenze, qualche discutibile assenza. Cancellato il Sessantotto

 Descritta nel testo di presentazione del Salone del libro come «la superstar della 24a edizione» e anche come «forse la più importante iniziativa che il Paese dedica ai testi fondativi, i libri che hanno fatto e diviso gli Italiani», la mostra 1861-2011. L’Italia dei libri si distende nelle vaste e (almeno ieri) assai poco frequentate plaghe dell’Oval, ex stadio di pattinaggio riconvertito alla cultura. Nessun percorso precostituito, avvertono le istruzioni per l’uso, ma la possibilità per ognuno di costruire il proprio itinerario. Insomma, citando ancora dal comunicato, «una nebulosa in forma di spirale» nel corso della quale si ritrovano «i 150 Grandi Libri» (quelli «che anno dopo anno hanno scandito la storia d’Italia»), «i 15 SuperLibri» («i totem, i must»), «i 15 Personaggi» («protagonisti il cui pensiero… è diventato matrice dell’identità di noi italiani d’oggi» – e poi, ancora, «gli Editori» e «i Fenomeni Editoriali».

Di «vertigine della lista» ha dunque opportunamente – e ironicamente – parlato Guido Davico Bonino introducendo un incontro dedicato alla mostra il cui curatore, Gian Arturo Ferrari, è stato fino all’anno scorso l’uomo più potente dell’editoria italiana, in quanto capo supremo dell’ammiraglia Mondadori, e oggi presiede il ben più evanescente Centro per il libro e la lettura.
Ogni lista, si sa, si espone al gioco dei presenti e degli assenti: e dopo avere premesso che la mostra, come qualsiasi iniziativa sui libri, è programmaticamente buona, perché potrà stimolare i potenziali lettori ad approfondire in libreria o in biblioteca la loro conoscenza dei vari titoli in mostra (anche se c’è da dubitare parecchio che gli scarni testi sui pannelli esplicativi o, peggio, gli oggetti che accompagnano i cosiddetti SuperLibri – un fuciletto di legno per Gomorra, la sagoma di un abito femminile dell’Ottocento per il Gattopardo, una chaise longue per La coscienza di Zeno… – abbiano questo potere), è stato lo stesso Davico Bonino a cominciare, mettendo in luce l’esiguità delle opere teatrali (solo cinque in un secolo e mezzo) ma soprattutto l’inserimento di titoli che, a voler essere buoni, «fanno macchia», dal Talismano della felicità di Ada Boni a Dux di Margherita Sarfatti, per non parlare delle scelte più recenti, che vedono La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano e Venuto al mondo di Margaret Mazzantini tra i libri che, ricordiamo, «hanno scandito la storia d’Italia».
Ma, come hanno sottolineato da prospettive diverse Ermanno Paccagnini e Marco Belpoliti, la debolezza della mostra non sta tanto nell’inclusione o nell’esclusione di singoli titoli, quanto in una ambiguità di fondo, in conseguenza della quale si mescolano testi che interpretano la società dell’epoca e altri che dovrebbero rispecchiarla solo perché hanno venduto milioni di copie. «Con la clamorosa rimozione dei libri legati al Sessantotto e agli anni ’70, con il grande buco tra Il nome della rosa di Eco e Gomorra di Saviano, questa – ha detto Belpoliti – è una mostra evidentemente ideologica e politica». Non c’è da stupirsene, di questi tempi.

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