La Francia spieghi la morte di Franceschi

 Ora la Francia spieghi: ci racconti come è morto Daniele Franceschi, il carpentiere di Viareggio trovato cadavere in una cella del carcere di Grasse il 25 agosto 2010. Che cosa contenevano le pagine strappate del diario, trovato dalla madre, che il ragazzo aveva scritto?

 Ora la Francia spieghi: ci racconti come è morto Daniele Franceschi, il carpentiere di Viareggio trovato cadavere in una cella del carcere di Grasse il 25 agosto 2010. Che cosa contenevano le pagine strappate del diario, trovato dalla madre, che il ragazzo aveva scritto?

Che cosa contenevano le pagine strappate del diario dell’ultimo mese di vita di Daniele Franceschi, il trentaseienne italiano morto il 25 agosto scorso nel carcere di Nizza dopo cinque mesi di detenzione? Forse niente di rilevante, o forse molto. Forse solo qualche indizio per capire una storia ancora inspiegabile e inspiegata. In ogni caso, è inquietante che quelle pagine siano sparite. E basta il dubbio che siano state sottratte per nascondere qualcosa di indicibile per chiedere (e bisognerebbe dire pretendere) che la nuova denuncia dei familiari di Franceschi non cada nel nulla. Dopo la sua morte avvenuta per «arresto cardiaco» , espressione che non spiega nulla giacché tutti se ne vanno per quel motivo, il cadavere arrivò in Italia svuotato. «Privo degli organi» , spiegò il medico legale. C’era anche in quel caso qualcosa da celare? In una lettera restituita ai familiari insieme al diario strappato Franceschi avrebbe chiesto aiuto, sostengono i suoi familiari, e sollecitato accertamenti medici. Perché? Quando fu arrestato per uso improprio di carte di credito nel Casinò di Cannes stava bene. Che cosa è successo in prigione? Sono domande a cui non solo i parenti della vittima, ma l’Italia avrebbe diritto a una risposta. Tanto più da un Paese amico come la Francia. Il ministro della Giustizia Alfano è già stato sollecitato ad acquisire le informazioni necessarie a fare luce. Forse anche il ministro degli Esteri potrebbe fare un passo. Ma qualunque mossa in questa direzione avrebbe maggior valore se nel frattempo in Italia si riuscisse a ottenere un po’ di verità sui detenuti morti nelle patrie galere. O nei posti di polizia. Da Stefano Cucchi, per il quale il processo è alle battute iniziali, al caso di Giuseppe Uva, per cui un eventuale giudizio è ancora di là da venire, a tutte le altre persone morte mentre erano custodite nelle strutture dello Stato. Forse colpevoli di qualche reato o forse no, non importa. Quel che non è tollerabile è che una persona consegnata alle strutture pubbliche entri viva ed esca morta; e se ciò si verifica, che l’accaduto rimanga senza spiegazioni e conseguenze. Non per smania di giustizialismo, ma per un banale quanto insopprimibile dovere di giustizia.

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