«Sciopero generalizzato». Ma non bastava dire generale? No, perché la quantità di gente che il lavoro non ce l’ha o scioperare proprio non può – pena il licenziamento – aumenta di giorno in giorno. E uno sciopero generale «normale», alla fin fine, riguarderebbe non così tanta gente.
«Sciopero generalizzato». Ma non bastava dire generale? No, perché la quantità di gente che il lavoro non ce l’ha o scioperare proprio non può – pena il licenziamento – aumenta di giorno in giorno. E uno sciopero generale «normale», alla fin fine, riguarderebbe non così tanta gente.
E invece in tutti i cortei italiani si è visto – sotto striscioni con la scritta «Uniti per lo sciopero» – un popolo più variegato dei soli lavoratori dipendenti con contratto a tempo indeterminato; che purtroppo diminuiscono di numero in modo ormai anche visibile. In alcune zone, dal Veneto alle Marche, per fare un esempio, questi spezzoni hanno raccolto fino alla metà dei cortei della Cgil.
Ma probabilmente nemmeno i vertici della Cgil avevano ben chiaro cosa potesse significare la «generalizzazione», o – forse – che porre il problema fiscale potesse avere una traduzione più concreta delle ben note richieste «politiche». In quasi tutta Italia, invece, le figure sociali «eccedenti» la consueta presenza nei cortei sindacali hanno preso di mira il più postmoderno degli Sceriffi di Nottingham: la tenebosa Equitalia, società controllata dallo Stato (a metà tra Tesoro e Inps), ma nota al pubblico solo per le implacabili e inappellabili «cartelle» che ti arrivano a casa. Come spiegano i precari milanesi, «in un momento in cui arrivare a fine mese è un miraggio, i salari arrivano con mesi di ritardo e una parte va a pagare il mutuo, in cui i precari sono sempre più precari e chi non lo era lo sta diventando, la cosa più facile è che ti arrivi la mannaia di Equitalia che in un battibaleno ti mette la casa sotto ipoteca e la macchina in fermo amministrativo, espropriandoti la vita».
Quindi, «carica!». Non sempre il percorso immaginato, preparato, organizzato, ha coinciso con le previsioni della vigilia. Complice qualche voce fuori dal coro e da qualche nervosismo celerino di troppo (vedi i finanzieri a Genova, nell’articolo sotto).
A Torino, gruppi di giovani – che immancabilmente vengono identificati come «centri sociali» solo per questioni anagrafiche – hanno cercato di entrare nella sede provinciale della società, hanno lasciato qualche scritta benevola sui muri esterni («ladri», «usurai») e lanciato un paio di gavettoni di vernice. La polizia li ha caricati due volte. Uova colorate hanno accolto anche le «forze dell’ordine», con il risultato di due fermati tra i ragazzi. Scene di ordinaria contrapposizione davanti alla sede della Fondazione Crt (tra i controllori di Unicredit), sorvegliata da truppe in tenuta antisommossa.
Ad Ancona, dopo la «Notte Rossa» organizzata dalla Fiom in difesa della Fincantieri («Il cantiere navale cuore e storia di Ancona, facciamolo vivere»), consistenti gruppi di giovani hanno raggiunto la terrazza dell’Assemblea regionale, esponendo uno striscione per «soldi, reddito, borse di studio, futuro». Altri, molti di più, hanno lanciato uova marce e qualche fumogeno contro la sede di Forza Nuova, gruppuscolo dell’ultradestra.
A Bologna, invece, gruppi di studenti e precari hanno bloccato temporaneamente l’attività di molti negozi del centro. Chiara anche la spiegazione: «il corteo diventa blocco selvaggio della circolazione e di tutti quegli esercizi commerciali che, applicando 42 forme di contratto diverso a partire dal “pacchetto Treu” e dalla “legge 30” di fatto rendono impraticabile lo sciopero per tanti precari». Una protesta, quella bolognese, inevitabilmente politica: «odio la Lega», cantavano in coro, in attesa di un risultato elettorale complicato dai cento errori macroscopici commessi dal Pd nell’ultimo decennio.
Anche le banche sono state oggetto di contestazione in numerose città; del resto non può essere altrimenti, in una crisi in cui gli stati spendono allegramente centinaia di miliardi per «salvare le banche» e poi si mettono a tagliarne decine alla spesa sociale per tentare di ripristinare un impossibile – e ingiusto – «rigore». La forma scelta è stata quasi dappertutto quella del «picchetto precario», con un blocco simbolico e temporaneo degli ingressi.
«Sciopero generalizzato», dunque, è espressione che ha colto due aspetti centrali nell’attuale crisi, anche sindacale. Si «generalizza» ad altre figure sociali, altrettanto bastonate dalla caduta dei redditi e dell’occupazione, «stabile» o precaria che sia. Figure che però non hanno la possibilità concreta di usare un’arma storica dei lavoratori, come lo sciopero. E qui si crea il più intrigante degli intrecci; perché lo sciopero diventa più pericoloso, faticoso, costoso, anche per i cosiddetti «garantiti»; ovvero quelli che «precari non erano ma lo stanno diventando». E quindi bisogna aprire il catalogo delle forme di protesta sempre esistite. Come diceva uno dei pastori sardi ad Anno Zero, «Noi non ci fermeremo. L’Africa è molto vicina… e la lotta è molto contagiosa!».
SUSANNA CAMUSSO «Ci vuole una svolta, il Paese così resta bloccato». La segretaria della Cgil all’attacco del governo
dal palco di Napoli: «Devono rilanciare l’industria, trovare una soluzione per
i precari, cambiare il fisco perché è ingiusto». MAURIZIO LANDINI Da Reggio Emilia
il segretario Fiom sferza il Pd: «L’opposizione deve rispondere alle domande che queste piazze pongono. Altrimenti si crea quello scollegamento che ha fatto forti Berlusconi
e la Lega e si lascia così posto al populismo». Maurizio Sacconi Il ministro del Lavoro attacca la Cgil: «Adesione bassa, ora riflettano. Ridicolo ipotizzare che l’isolamento della Cgil dipenda dalla volontà del governo. Mentre loro pongono veti, gli altri sindacati firmano e accettano i cambiamenti».
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