Il libro "Storia di una foto" c'ho messo due mesi a farlo ma molto più tempo a pensarlo. Infatti, vent'anni fa mi arrivò da Parigi uno scritto di Maurizio Lazzarato che aveva lo stesso titolo e che trattava lo stesso argomento: quella maledetta fotografia divenuta nei media l'icona del terrorismo anche, se non soprattutto, in seguito alla lettura critica che ne aveva fatto "a caldo" Umberto Eco: il pistolero solitario isolato dalle masse, quindi fuori dalla storia del movimento operaio ecc. Lazzarato nel confutare le tesi di Eco partiva bene, ma quasi subito i suoi ragionamenti si attorcigliavano su se stessi e non si capiva bene dove andassero a parere. Tanto è vero che il testo era (e rimase per sempre) incompiuto. ">

“Storia di un libro” – di Sergio Bianchi

  Il libro “Storia di una foto” c’ho messo due mesi a farlo ma molto più tempo a pensarlo. Infatti, vent’anni fa mi arrivò da Parigi uno scritto di Maurizio Lazzarato che aveva lo stesso titolo e che trattava lo stesso argomento: quella maledetta fotografia divenuta nei media l’icona del terrorismo anche, se non soprattutto, in seguito alla lettura critica che ne aveva fatto “a caldo” Umberto Eco: il pistolero solitario isolato dalle masse, quindi fuori dalla storia del movimento operaio ecc. Lazzarato nel confutare le tesi di Eco partiva bene, ma quasi subito i suoi ragionamenti si attorcigliavano su se stessi e non si capiva bene dove andassero a parere. Tanto è vero che il testo era (e rimase per sempre) incompiuto.

  Il libro “Storia di una foto” c’ho messo due mesi a farlo ma molto più tempo a pensarlo. Infatti, vent’anni fa mi arrivò da Parigi uno scritto di Maurizio Lazzarato che aveva lo stesso titolo e che trattava lo stesso argomento: quella maledetta fotografia divenuta nei media l’icona del terrorismo anche, se non soprattutto, in seguito alla lettura critica che ne aveva fatto “a caldo” Umberto Eco: il pistolero solitario isolato dalle masse, quindi fuori dalla storia del movimento operaio ecc. Lazzarato nel confutare le tesi di Eco partiva bene, ma quasi subito i suoi ragionamenti si attorcigliavano su se stessi e non si capiva bene dove andassero a parere. Tanto è vero che il testo era (e rimase per sempre) incompiuto. Ho conservato quel testo (caldeggiato da Raffaele Ventura, Coz, che in quella vicenda rimase giudiziariamente coinvolto) per moltissimi anni. Ogni tanto lo toglievo dal cassetto e lo rileggevo ricavandone però la medesima sensazione di inconcludenza. Infatti lo sprazzo di luce che gettava sui fatti in questione durava il tempo di un cerino acceso nel buio. È probabile che di tanto in tanto riandavo a quella lettura per il riemergeredall’inconscio del riflesso di quella foto che aveva contribuito a determinare per tante ragioni, chiare e meno chiare, una indiscutibiledisfatta politica del movimento del ’77. Finché un giorno mi liberai di quello scritto con uno di quei gesti improvvisi e decisi che si fanno quando ci si convince della necessità del doversi liberare da un tormento inutile e insensato. Ma non ebbi fortuna, perché destino volle che poco tempo dopo Coz si riaffacciò da Parigi proponendomi di partecipare (anche con il regista Osvaldo Verri) alla realizzazione di un film documentario che, guarda caso, doveva avere come titolo “Storia di una foto”. Film che ancora non si è fatto. Così, quel che avevo scacciato dalla porta rientrò dalla finestra in modo ancora più prepotente. Lo scorso fine anno lo andai a passare a Parigi dove mi incontrai con Coz, là rifugiato ormai da trent’anni. Parlammo dell’idea di un libro che avrebbe potuto anticipare l’agognato film. Coz mi consegnò un malloppo di 500 pagine: le motivazioni della sentenza del processo giudiziario conclusivo sui fatti di via De Amicis a Milano il 14 maggio 1977. Tornai a casa la sera e feci l’errore di sbirciare le prime pagine. Passai tutta la notte precedente al mio rientro a Roma a leggere le carte processuali. Più leggevo e più la stanza si animava di parole, di figure e di scene che emergevano e fluttuavano dalla memoria. Rilessi quelle pagine altre due volte e come per magia il libro mi si configuro da solo in testa. “Storia di una foto” è un libro con più piani di lettura: quello storico-politico, quello giudiziario, quello narrativo. Sono certo che susciterà emozioni diverse: curiosità, insoddisfazione, irritazione, sconcerto e probabilmente anche una esplicita disapprovazione. Tutte emozioni utili per tentare di fare ciò che politici e storici “istituzionali” evitano per opportunismo e spesso anche per banale ignoranza: i conti con un “passato che non passa”. Forse, in piccolo, queste righe possono contribuire a innescare qui una discussione in merito. A chi vuole, quindi, la parola…

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