Libero l’ex br che sparò al sindacalista Rossa

La figlia della vittima su Guagliardo: è giusto

La figlia della vittima su Guagliardo: è giusto

ROMA — Le altre volte gli avevano detto no. I giudici volevano che anche lui scrivesse ai parenti delle vittime delle sue gesta per chiedere perdono e dirsi rammaricato del dolore provocato. Ma Vincenzo Guagliardo, dirigente delle Brigate rosse fino al suo arresto nel dicembre 1980, il terrorista che sparò i primi colpi all’operaio sindacalista e comunista Guido Rossa assassinato a Genova il 24 gennaio 1979, condannato all’ergastolo per quello e altri delitti, non voleva. Perché riteneva di non avere il diritto di «scoperchiare tombe» rivolgendosi a coloro a cui già aveva fatto del male sparando, commettendo e deliberando omicidi. Se fossero stati loro a chiederlo — aveva detto ai giudici— lui sarebbe stato disponibile a tentare di spiegare le ragioni degli errori commessi, ma non si sentiva di poter fare il primo passo per ottenere un beneficio personale. Per questo era rimasto uno degli ultimi ex militanti delle Br ancora detenuto, sebbene in regime di semilibertà, fuori di giorno a lavorare e in cella la sera. Finché ieri, al terzo tentativo, il tribunale di sorveglianza di Roma gli ha concesso la liberazione condizionale. Determinante, a leggere l’ordinanza dei giudici, è stata una delle sue vittime: Sabina Rossa, figlia di Guido, oggi deputata del Pd, che nel 2004 incontrò Guagliardo e quando seppe del primo diniego si diede subito da fare perché anche l’uomo che sparò a suo padre potesse ottenere lo stesso trattamento di altri ex brigatisti. La donna era andata a parlare col presidente del collegio che aveva respinto la prima istanza con la motivazione che il «sicuro ravvedimento» del prigioniero non era dimostrato proprio dal suo rifiuto di prendere contatti con i parenti delle vittime. Aveva raccontato il loro incontro e spiegato l’atteggiamento di Guagliardo: non è che non volesse chiedere perdono perché non si sentiva responsabile, ma per non rischiare di apparire un opportunista. Lei però poteva testimoniare che il rammarico c’era davvero e che il terrorista che aveva sparato a suo padre (ucciso perché bollato come «spia berlingueriana » dopo aver denunciato un compagno di lavoro sospettato di diffondere volantini brigatisti) era un uomo diverso da allora. I giudici non ritennero sufficiente quella testimonianza, considerandola non rappresentativa delle posizioni dei parenti delle vittime. E così, dopo che gli avvocati Caterina Calia e Francesco Romeo hanno presentato una nuova istanza per la liberazione dell’ex brigatista, Sabina Rossa ha voluto fare di più. Ha raccolto tra altre persone colpite direttamente o indirettamente dal terrorismo, la risposta a una lettera in cui Guagliardo spiegava il suo atteggiamento nei confronti delle vittime. Una missiva con cinque firme (con la richiesta che non venissero diffusi i nomi) in cui a titolo personale venivano apprezzate le ragioni dell’ex brigatista. «Tali esternazioni paiono oggi dimostrare la consapevolezza lucida e convinta— hanno scritto i giudici nel provvedimento emesso ieri — del dolore arrecato con le pregresse condotte illecite e si reputano idonee a comprovare la coscienza della tragicità del sacrificio imposto alle vittime e ai loro familiari in una fase storica del nostro Paese particolarmente sanguinosa e travagliata» . Per questi motivi Guagliardo è uscito dal carcere, come dieci giorni fa sua moglie Nadia Ponti, anche lei ex brigatista, reati in parte diversi ma uguali condanne a vita, stessa durata di detenzione e stesse posizioni nei confronti dei patenti delle vittime. «È una decisione giusta che aspettavamo da tempo — commenta Sabina Rossa —. Credo che 31 anni di carcere siano sufficienti anche per chi è condannato all’ergastolo, pena in linea con la nostra Costituzione proprio perché esiste questa possibilità. Spero che la posizione mia e delle altre persone che hanno accettato di scrivere ai giudici sia servita a far capire che la questione del perdono non può essere una discriminante, e che la memoria del terrorismo non è una questione privata tra vittime e colpevoli, ma riguarda tutta la società» .

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