Ungheria laboratorio dell’ultradestra europea
Ungheria, primavera del 2011, ecco il laboratorio delle nuove destre nazionali. Il nuovo vento della stanchezza d’Europa, la voglia d’identità etnica e tolleranza zero
Ungheria laboratorio dell’ultradestra europea
Ungheria, primavera del 2011, ecco il laboratorio delle nuove destre nazionali. Il nuovo vento della stanchezza d’Europa, la voglia d’identità etnica e tolleranza zero
«Tuo papà non è come si deve, non è un buon patriota», dicono le maestre alle figlie piccole dei veterani del dissenso anticomunista, intellettuali critici anche oggi. Oppure le trattano male, le isolano dagli altri bimbi come fossero intoccabili o paria. Le e-mail private di quei padri escono, fornite da chi sa quale gola profonda dei servizi, su quotidiani governativi, se serve per comprometterli. Quasi tutti i direttori di teatri e musei sono stati licenziati, le università si preparano ad avere un terzo di studenti e insegnanti in meno. Ungheria, primavera del 2011, ecco il laboratorio delle nuove destre nazionali europee. Il nuovo vento della stanchezza d´Europa, la voglia montante d´identità etnica e tolleranza zero, “il tea party in versione europea”, come lo chiama il decano degli scrittori magiari Gyorgy Konrad, qui è già realizzato.
Tentiamo allora da qui il viaggio nel “brave new world” del nazionalpopulismo, il nuovo spettro che si aggira per l´Europa.
La svolta brutale non la vedi subito, nella bella capitale inondata dal sole di primavera: splendono di luce i palazzi asburgici, coppiette e famiglie affollano gli shopping malls o si godono il weekend di Pasqua, nelle strade il traffico è caotico e rumoroso quasi come a Roma. Devi scavare, ascoltare racconti sussurrati. Scopri il quotidiano di Gaspar Miklos Tamas, docente invitato spesso nel Regno Unito e negli States, intellettuale di prestigio reduce da anni di persecuzione sotto il vecchio regime: taglio a ogni fondo accademico e alle retribuzioni, e in strada insulti e minacce di giovani radicali: «Heil Hitler, pidocchio, sputi sulla patria». O apprendi che Agnès Heller, l´epigona di Gyorgy Lukacs, emarginata all´università, vive ormai chiusa in casa sotto shock: «Volevo solo continuare ricerca in Filosofia», singhiozza. Spreco, secondo il governo. Ecco il volto del paese presidente di turno dell´Unione europea, mentre a Helsinki i “Veri finlandesi” volano attorno al 20 per cento dei consensi dicendo no al salvataggio alla Grecia, ma anche «è troppo dire che gli immigrati siano un pericolo, ma certo sono un costo». Mentre nella Stoccolma di cui Olof Palme fece il tempio del Welfare e dell´economia efficiente e solidale, gli “Sveriges Demokraterna” cavalcano la stanchezza per i troppi musulmani. O mentre Marine Le Pen tallona Sarkozy nei sondaggi, e quasi appare possibile che un partito nostalgico di Vichy conquisti l´Eliseo e la valigetta per il comando delle 300 bombe atomiche.
Il nazionalpopulismo non è una tendenza passeggera, va preso sul serio, avverte alla Fondazione Robert Schuman Pascal Perrineau, docente a Sciences Po. «È una sfida colossale contro i governi, di destra moderata o di sinistra moderata che siano, li chiama a trovare risposte credibili ai problemi dell´identità nazionale e dell´immigrazione». L´intransigenza, come rifugio a caccia d´identità nazionale che senti perduta, si fa strada. Insieme, continua Perrineau, al rifiuto delle élites politiche nazionali e dell´eurocrazia di Bruxelles.
«Non sono ancora maggioranza, ma sono un fenomeno forte, i problemi etnici troppo a lungo sottovalutati esplodono in mano ai partiti storici», nota triste Gyorgy Konrad. Il potere conquistato col voto sovrano va gestito senza remore: da quando Viktor Orban è premier qui a Budapest, i notiziari tv dedicano il 91 per cento dello spazio al governo. La temuta Nmhh, l´autorità di controllo dei media creata dalla legge-bavaglio, vigila orwelliana. Ma non ha censurato Jobbik, il partito d´opposizione addirittura a destra del governo, che ha ricreato come milizia privata l´antica Csendorség, la gendarmeria del dittatore Horthy (1919-1944) che fu esecutore zelante dell´antisemitismo fin dagli anni Venti e complice con efficienza manageriale della Gestapo. Né la tv di Jobbik che ha celebrato il compleanno di Hitler, «grande figura positiva, artefice di rinascita economica, morale e culturale».
Budapest è il nazionalpopulismo reale, ma il trend s´impone, articolato e intelligente. A Vienna, città rossa storica, la Fpoe cioè la nuova destra radicale di Heinz Christian Strache, è al 28 per cento. Ci dice Strache: «I successi dei nuovi partiti patriottici, democratici ed euroscettici è causato dal fiasco dell´establishment. La gente vede che il centralismo della Ue e l´errore di costruzione basilare dell´unione monetaria sono assolutamente negativi». I problemi sono diversi da paese a paese, nota Strache: no all´aiuto agli Stati-bancarotta del sud tipo Grecia in Finlandia, deficit di democrazia nelle strutture della Ue per tutti, o in Austria come altrove «angoscia per l´immigrazione di massa»”. Da Vienna viene anche l´idea di un´alleanza europea: «I problemi dell´Italia con la marea di migranti», continua Strache, «sottolineano quanto sia necessaria la cooperazione europea dei conservatori. Se democratici di destra fossero nei governi, concorderemmo un´azione comune, non lasceremmo l´Italia sola».
I rom in Ungheria o altrove nella “nuova Europa”, i migranti musulmani all´Ovest. E sulla testa di tutti, una Ue sempre più verticistica e lontana dagli umori dei cittadini d´Europa. Ecco il background del nuovo vento di destra. «La gente vuole riprendersi la democrazia, contro una Ue che impone al contribuente di pagare per Grecia e Portogallo, posso capirlo, in Germania il partito più grande sono i non votanti», ammonisce il professor Michael Stuermer, ex consigliere di Kohl, storico e intellettuale-chiave del centrodestra democratico tedesco. «Purtroppo il sogno di Kohl, che l´unione monetaria portasse tutti più vicini, non si è avverato. Questi partiti sono ormai Volksbewegungen, movimenti di massa, la paura del futuro è reale, più di quanto i partiti storici non abbiano capito». E aggiunge: «Lo stesso Otmar Issing (l´ideologo della Bundesbank da decenni, ndr ) dice che l´Unione monetaria è stato un errore strutturale. Eccoci a pagarne le conseguenze. Le sinistre storiche, ma anche i conservatori, non sanno più esprimere questi nuovi malcontenti». E di verticismo di Bruxelles ed errore costruttivo dell´euro parlano ormai, rispettivamente, anche Hans Magnus Enzensberger e Juergen Habermas, i massimi maitre-à-penser liberal tedeschi.
Da destra a sinistra, se tenti un viaggio tra i partiti storici che finora hanno incarnato i valori europei, la doccia fredda scuote tutti. «Temo che queste nuove paure e spinte nazionaliste disintegrino l´Europa», avverte Peter Schneider, scrittore e intellettuale socialdemocratico tedesco. Continua: «La difficile integrazione dei musulmani è un problema sottovalutato. Nessuno lo dice ma le donne europee hanno un ruolo importante nel nuovo trend: rigettano l´idea della donna relegata tipica di parte della cultura islamica». E poco importa che dell´Europa unita tutti, a cominciare dalle economie più forti come la Germania, abbiano da guadagnare: «Non ci sono più politici e statisti di grosso calibro, capaci di spiegarlo alla gente. Angela Merkel non è Helmut Kohl».
Dalla Padania alla Svezia, dalla Finlandia all´Ungheria, passando per la Francia del nuovo Front national, la nuova destra vola ovunque. O quasi. La grande eccezione è la Germania. «Da noi pesano ancora memoria e coscienza del passato», nota Giovanni di Lorenzo, direttore di Die Zeit. Ma avverte: «Problemi reali come l´integrazione spesso difficile dei migranti sono stati sottovalutati e taciuti, dalle sinistre e destre democratiche, che non sanno più rappresentare nuovi malcontenti». Il prezzo è «l´imbarbarimento del dibattito politico in Europa». La Germania resiste al trend, insieme a Regno Unito e Polonia, ma il trend avanza. Qui a Budapest la nuova Costituzione, votata dal Parlamento la scorsa settimana e firmata ieri dal presidente ungherese Pal Schmitt, ha già cancellato l´autonomia di magistratura e media. E il potere di Viktor Orban si accanisce nei minimi dettagli: dal teatro al cinema, dove ormai vengono aiutate solo operette e soap, all´aeroporto ribattezzato in omaggio al grande compositore Ferenc Liszt. La commissione di storici che chiedeva sommessa di conservargli il vecchio nome geografico, Férihegy, è stata licenziata in tronco, guai a discutere della Patria.
(ha collaborato Gaspar Miklos Tamas)
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