«Noi non siamo cani, siamo uomini, siamo famiglie. Allora chiediamo aiuto alla Chiesa, perché abbiamo paura». Pietro ha 21 anni, una moglie e un figlio che gioca sul prato del chiostro della basilica di San Paolo mentre lui cerca di spiegare le ragioni della sua protesta .Nel primo pomeriggio di ieri insieme ad altri 200 rom come lui ha occupato la chiesa, una della quattro basiliche papali di Roma. ">

Rom, la presa della basilica

«Noi non siamo cani, siamo uomini, siamo famiglie. Allora chiediamo aiuto alla Chiesa, perché abbiamo paura». Pietro ha 21 anni, una moglie e un figlio che gioca sul prato del chiostro della basilica di San Paolo mentre lui cerca di spiegare le ragioni della sua protesta .Nel primo pomeriggio di ieri insieme ad altri 200 rom come lui ha occupato la chiesa, una della quattro basiliche papali di Roma.

«Noi non siamo cani, siamo uomini, siamo famiglie. Allora chiediamo aiuto alla Chiesa, perché abbiamo paura». Pietro ha 21 anni, una moglie e un figlio che gioca sul prato del chiostro della basilica di San Paolo mentre lui cerca di spiegare le ragioni della sua protesta .Nel primo pomeriggio di ieri insieme ad altri 200 rom come lui ha occupato la chiesa, una della quattro basiliche papali di Roma.

Scelta non certo fatta a caso. La basilica gode infatti dell’extraterritorialità della Santa Sede e la polizia non può entrare. «Non dire che l’abbiamo occupata, perché non è vero. Noi chiediamo asilo alla Chiesa, perché non possiamo vivere per strada». Come a Parigi e a Barcellona, adesso anche a Roma la rivolta dei più disperati si trasferisce in Chiesa. Solo che questa volta non sono i sans papier a protestare. Seduti sotto gli spledidi mosaici che ornano il soffitto di San Paolo ci sono infatti i nomadi della capitale, gli ultimi sgomberati dalla giunta Alemanno che non ha fermato le ruspe neanche durante la settimana santa. In tutto sono cinque i campi sgomberati da lunedì. L’ultimo ieri, quando vigili urbani e polizia si sono presentatai alle 7 del mattino nell’accampamento a Casalbruciato in cui Pietro e i suoi vivevano insieme ad altre 70 famiglie. «Ci hanno detto di prendere le nostre cose e andarcene », racconta. «Allora gli ho chiesto: ma dove andiamo? Mi hanno risposto: Non ci interessa». «I rom si sono chiesti quale fosse l’unico posto in cui andare senza che poi la polizia li sgomberasse», racconta Gianluca Staderini di Popica Onlus, una delle associazioni (le altre sono Sant’Egidio, la Caritas, l’Arci e Stalker) che assistono i nomadi in questi giorni. «Allora la scelta di rifugiarsi in una basilica è stata naturale, e San Paolo è la basilica più accessibile e più conosciuta». Detto fatto. Alle due e mezzo del pomeriggio i duecento rom, carrozzine e bambini al seguito, invadono pacificamente i colonnati del chiostro e i banchi della chiesa sotto gli occhi stupiti della gerdarmeria vaticana che non sa che pesci prendere. Una situazione imbarazzante per il sindaco Alemanno, che vede aprirsi una breccia imprevista e pericolosa nel suo piano per cacciare i nomadi dalla capitale. Piano finora messo a punto senza esitazioni, Dal primo aprile a oggi sono stati sgomberati 75 accampamenti e più di mille persone sono state mandate via. Dove non si sa. Il Campidoglio non offre infatti alcuna soluzione: prima sgombera e poi si vede. Il risultato è che, dopo aver perso le loro baracche, intere famiglie cercano rifugio per strada e nei parchi. «Basta con il buonismo, molti nomadi non sono nelle condizion disperate che Sant’Egidio immagina», sentenzia il sindaco riprendendo una polemica con la comunità di Trastevere. «Nel campo di Casalbruciato sono state trovate 161 persone,quasi la metà di quelle normalmente presenti in questo campo, perché molti immigrati sono tornati a casa loro per la Pasqua. Questo vuol dire che non è vero che vengono a Roma perché non sanno dove andare, maperché pensano di poter avere un reddito migliore, magari attraverso attività illegali». La reazione alla presa della basilica è più che nervosa. La paura è che l’occupazione possa rappresentare un precedente pericoloso per l’amministrazione capitolina. Del resto già nei giorni scorsi altri rom hanno occupato alcuni appartamenti sulla via Prenestina dopo essere stati sgomberati. Senza contare che tutto avviene proprio il Venerdì Santo, a poche ore dalle celebrazioni della Via Crucis al Colosseo. Sul posto arriva Gianluigi De Palo, ex presidente delle Acli romane oggi assessore comunale alle Politiche sociali, seguito a ruota dal delegato del sindaco per le politiche per la sicurezza Giorgio Ciardi. Presenti anche alcuni funzionari della prefettura. Comincia una trattativa per convincere i rom liberare la chiesa. Il comune propone di sistemare per 20 giorni i circa 100 bambini e le 50 donne nel Cara di Castelnuovo di Porto, la struttura distante una quarantina di chilometri da Roma e utilizzata normalmente per ospitare i richiedenti asilo. Nessuna soluzione, invece, per gli uomini. Inoltre chi vuole potrà essere rimpatriato entro 48 ore. Una proposta inaccettabile per i rom, che non vogliono né tornare in Romania, né tantomeno dividere i nuclei familiari. «Tu accetteresti di divedere la tua famiglia?», chiede una donna parlando faticosamente in italiano. «Il problema sa qual è? E’ che qui ci sono più rappresentanti che rappresentati », sbotta a un certo punto De Palo. L’assesore ce l’ha con le associazioni che assistono i rom e che a suo dire, si metterebbero in mezzo nelle trattive. «E’ triste constatare che oggi si possa strumentalizzare la povertà per fini politici-ideologici», dice. Parole che non possono non provocare reazioni. «L’accusa mossa da De Palo di essere ideologici sui poveri è surrale», replica infatti Paolo Ciani, responsabile dei rapporti con i rom della comunità di Sant’Egidio. «Proprio lui dovrebbe sapere che se c’è una cosa che caratterizza Sant’Egidio nel modo è la sua vicinanza concreta a uomini, donne, bambini, anziani e disabili». A sera la situazione non si sblocca. ma c’è comunque una buona notizia: dal Vaticano arriva l’autorizzazione a dormire all’interno di uno stanzone della basilica. E’ un primo risultato. Poi si vedrà.

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