Può una flottiglia di pacifisti e attivisti di mezzo mondo che tenta di sbarcare a Gaza forzando simbolicamente il blocco israeliano entrare nel mirino delle grandi potenze? ">

I pacifisti ora mettono paura

Può una flottiglia di pacifisti e attivisti di mezzo mondo che tenta di sbarcare a Gaza forzando simbolicamente il blocco israeliano entrare nel mirino delle grandi potenze?

Può una flottiglia di pacifisti e attivisti di mezzo mondo che tenta di sbarcare a Gaza forzando simbolicamente il blocco israeliano entrare nel mirino delle grandi potenze?

La logica vorrebbe che gli Stati si occupassero di favorire la risoluzione dei conflitti attraverso la diplomazia e non di impedire le azioni dimostrative di gruppi di pacifisti. E invece ieri è successo l’inverosimile. Stati Uniti e Germania, nel corso di una sessione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, hanno preso posizione contro l’annunciato varo di una nuova «Freedom Flotilla» che, nella seconda metà del mese prossimo, tenterà di forzare il blocco navale israeliano per raggiungere le coste di Gaza. Nel corso della sessione, l’ambasciatore israeliano all’Onu, Meron Reubon, ha sottolineato che alcuni dei gruppi e degli individui che faranno parte della Flottiglia «hanno molti legami con Hamas e altre organizzazioni terroristiche». Il rappresentante tedesco al Palazzo di vetro, Peter Wittig, ha detto che i pacifisti e gli attivisti della Flottiglia potrebbero addirittura «contribuire a un’escalation di tensione nella regione» e ha chiesto agli organizzatori di «trovare altri modi per portare aiuto alla gente di Gaza». Anche gli Stati Uniti, per bocca dell’ambasciatrice Susan Rice, hanno rivolto un appello analogo, affermando che «ci sono vari meccanismi per consegnare degli aiuti e non ci sono giustificazioni per raggiungere Gaza direttamente via mare ». Il 31 maggio dell’anno scorso la «Mavi Marmara », una nave turca piena di pacifisti e attivisti islamisti, provò a forzare il blocco con esiti drammatici. Assaltati dalle truppe speciali israeliane, alcuni passeggeri opposero resistenza: nove persone furono uccise dai commando di Tel Aviv. Nello stallo diplomatico che negli ultimi anni accompagna il conflitto tra israeliani e palestinesi, i simboli (come le flottiglie) sembrano essere entrati nelmirino di chi si batte contro la pace, a New York come a Tel Aviv, a Berlino come a Roma (anche Berlusconi recentemente ha promesso che ce la metterà tutta per fermare la Flottiglia). Lo Stato palestinese, anche se a favorirne la nascita sono 21 tra le più importanti personalità della cultura israeliana e se la sua proclamazione è puramente simbolica, a Tel Aviv resta un tabù. Lo si è visto ieri, quando nella capitale dello Stato ebraico una manifestazione di israeliani in favore dell’autodeterminazione dei vicini «nemici» è stata interrotta da un assalto della destra nazionalista, terrorizzata dall’avvicinarsi di un «incubo»: la possibilità che alla prossima riunione dell’Assemblea generale delle Nazioni unite Abu Mazen e compagni ottengano il riconoscimento dello Stato. Gli organizzatori della dimostrazione, tra cui 21 insigniti del prestigioso «Premio Israele » si erano dati appuntamento presso la Independence hall, l’edificio dal quale David Ben Gurion il 14maggio 1948 proclamò la nascita dello Stato d’Israele. Una scelta altamente simbolica che deve aver fatto andare su tutte le furie i nazionalisti, decisi a impedire l’« oltraggio». Tra i dimostranti c’era anche Hanna Maron, l’87enne star del teatro che negli anni ’70 subì le conseguenza di un attacco di miliziani palestinesi a un volo della compagnia El-Al. Agli organizzatori non è servito ricordare che in quella circostanza l’attrice e militante per la pace perse una gamba. Le hanno gridato: «Quinta colonna!» (dei palestinesi, ndr), «Traditrice!», «Kahane (il rabbino fondatore del partito razzista Kach, messo fuori legge negli anni ’80 dalle autorità israeliana, ndr) aveva ragione!». Imanifestanti denunciano che la poli,zia – a differenza della prassi seguita in circostanze simili – non ha fatto nulla per prevenire l’aggressione da parte della destra né in seguito per separare gli aggressori dai pacifisti aggrediti.

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