L’ascesa in cattedra di un pensiero critico

Per una bizzarra nemesi non del tutto casuale,nel momento di massima crisi dell’impero universitario anglo-americano, da Londra alla California, è la filosofia politica italiana ad «egemonizzare» i suoi dipartimenti.

Per una bizzarra nemesi non del tutto casuale,nel momento di massima crisi dell’impero universitario anglo-americano, da Londra alla California, è la filosofia politica italiana ad «egemonizzare» i suoi dipartimenti.

Da Toni Negri a Paolo Virno, da Christin Marazzi a Sandro Mezzadra, da Maurizio Lazzarato a Franco Berardi, basta guardare ai nomi che compaiono ai primi posti delle pubblicazioni accademiche australiane (scovati dagli impassibili algoritmi di Google Scholar) o nei cataloghi delle biennali tedesche (ad opera di più mondani critici d’arte) per capire come la repressione dell’anomalia italiana abbia prodotto per contrappasso una fertile diaspora teorica. Sotto l’etichetta di Italian Theory si organizzanooggi conferenze, seminari e pubblicazionisu quei pensatori che nell’ultima decade hanno sdoganato l’operaismo italiano oltreoceanoo segnato il ritorno delle categoria del biopolitico(con Giorgio Agamben e Roberto Esposito)in quegli ambienti universitari anglofoni narcotizzati dalla rivoluzione laica dei cultural studies,dalla filosofia postmoderna e dalla tradizione analitica. Solo nel 2010 si veda la conferenza dell’università di Pittsburgh per il decennaledella pubblicazione di Empire di Hardt e Negri, o il simposio alla Cornell University di New York sul concetto di comune (il manifesto del 18 Settembre e del 14 Ottobre 2010). Ad Amsterdam,il prossimo 19 maggio, si terrà la conferenza Post-Autonomia sulla disseminazione del pensiero operaista tra le nuove generazioni di scholars (finanziata da una generosa borsa pubblica). Ma si tratta ovviamente di una nemesi a due facce, se la critica al capitalismo cognitivo, la nozione di moltitudine e la figura del lavoratore precario, sono recuperati dai sistemi accademici per cambiare casacca alla teoria senza mettere in discussione gerarchie e discipline, quando i suoi autori hanno sempre vissuto ai margini o non possono mettere più piede nell’accademia nostrana. Genealogia del materialismo antagonista Il nome Italian Theory indica da sè una ricezione anglofona e fa il calco alla precedente etichetta French Theory con la quale è stato assorbito e neutralizzato il post-strutturalismo francese(da autori d’ontologia come Foucault, Deleuze e Guattari ad aeroliti della specie Baudrillard). La prima breccia all’interno dell’accademica americana va però fatta risalire alla pubblicazione di Radical Thought in Italy da parte di Michael Hardt e Paolo Virno nel 1996, preparata con anticipo dall’antologia Autonomia:Post Political Politics curata da Lotringer e Marazzi in collaborazione con il comitato «7 aprile» nel lontano 1980, quando ancora New York mescolava graffiti di Basquiat e teoria underground. Ma al di là degli equlibrismi accademici, il passaggio dalla French Theory alla ItalianTheory ha sue motivazioni storiche. Nel pamphlet  La differenza italiana (2005), Negri ricorda come il pensiero postmoderno abbia fatto saltare le categorie hegeliane, borghesie patriarcali, del moderno, ma lasciando un orizzonte di differenze ambivalenti e indecidibili. Negli anni precedenti, spettava già all’operaismo di Tronti e al femminismo di Luisa Muraro, scrive Negri, portare la polarizzazione delle lotte sociali nell’«ontologia italiana» del Novecento. Fatta propria l’intuizione separatista ed irriducibile dei maestri, Negri rivendica per l’operaismo il progetto di una ontologia costituente riprendendo il filo del discorso laddove il pensiero francese aveva lasciato desiderio e micropolitica.Il testo diNegri fornisce il titolo anche all’antologia The Italian Difference: Between Nihilismand Biopolitics (2009), una panoramica che affianca alla tradizione costituente quelle del nichilismo di Massimo Cacciari e della biopolitica di Giorgio Agamben. Seguendo questa traccia,più recentemente Roberto Esposito nel suoPensiero vivente. Origine e attualità della filosofia italiana (pubblicato da Einaudi e percepito come il breviario dell’Italian Theory prima ancora di essere tradotto in inglese) ha descrittola cifra della tradizione italiana nel suo essere antagonista al potere, coerenza pagata a caroprezzo da Bruno fino a Gramsci. Questo sinolodi tumulto e prassi istituente, questa immanenza dell’antagonismo, viene tracciata da Roberto Esposito in una storia ideale che da Tronti risale fino a Machiavelli. Materialismo antagonista che viene estetizzato nella Battaglia di Anghiari di Leonardo, figura della Lotta che fonde l’uomoe l’animale come nel centauro machiavelliano. Esposito contestualizza l’emergere della «differenza italiana» con la crisi di quelle scuole europee che si sono fondate sul primato del linguaggio:la filosofia analitica inglese, l’ermenutica tedesca e il decostruzionismo francese. Fuori dai recinti accademici, questa crisi viene forse meglio esercitata dalla pressione delle nuove forme del lavoro. Dal frammento sulle macchine nei Grundrisse di Karl Marx al concetto di capitalismo cognitivo, infatti il pensiero operaista non ha mai considerato il linguaggio«casa dell’essere»,ma al contrario mezzo di produzione al centro del lavoro contemporaneo. Principale motivo per cui oltreoceano si adotta l’Italian Theory è proprio per essere una delle poche letture antagoniste e non logocentriche dei grandi apparati dell’«economia della conoscenza», del lavoro immateriale e della network society (come già nel 1999 il canadese NickDyer-Witheford notava nel suo libro Cyber-Marx). Alla svolta linguistica dell’economia politica(sia marxista e neoliberale), non ha mai corrisposto una svolta economico-politica della filosofia del linguaggio. In questo si può comprendere forse l’operazione filosofica di Virno negli ultimi anni: invece di forzare i bastioni della filosofia analitica dal di fuori, ne ha cercato le chiavi per aprirli alla politica dall’interno. In modo simile, appunto dall’interno della scuola analitica e cercando di separarsi dall’eredità di Alain Badiou, il gruppo di giovani filosofi della corrente Speculative Realism (che si raccoglie intorno alla rivista inglese Collapse) si sforza oggidi raggiungere le sponde del materialismo continentale per via negativa, ma impiegando centinaia di pagine di Kant per eguagliare quel concetto di conatus per il quale a Spinoza è bastata una proposizione dell’Etica. Ideologia del realismo capitalista Il mondo accademico nord-europeo si trova ancora dominato da un’altra scuola logocentrica dimenticata da Esposito, la psicanalisi lacaniana di rito sloveno, che vede appunto il capitalismo semplicemente come un effetto di realtà ideologica menemediato. Il pendolino ipnotico di Slavoj Zizek non lascia vie di scampo e recita più o meno così: l’ideologia non è qualcosa di conscio e astratto: per esempio, ogni qual volta crediamo che l’economia sia un fatto empirico e naturale, è proprio lì che interviene l’ideologia. Questa lettura viene applicata con la stessa generosità sia all’economista borghese che a quello marxista, anch’esso responsabile di eccessivo economicismo (come Badiou ama sottolineare).Per questa scuola di pensiero il problema si chiama quindi «Realismo Capitalista» (per citare il titolo di un recente libro di Mark Fisher) e l’impegno politico si risolve nell’esercizio psicoanalitico di sollevare il velo di maya dell’ideologia quotidiana. Contro il peccato della «passione per il reale»del pensiero italiano, Zizek descrive l’attivismo esattamente come il desiderio lacaniano: non legato all’hic et nunc, ma come segno che rimanda sempre altrove. Il comportamento economico si descrive quindi come un linguaggio,l’immaginario politico diventa una grammatica manipolabile, la militanza è sempre pre-derminata da un «ordine simbolico» in una griglia di ruoli. Come per Badiou, Zizek viene presentato come marxista nei consessi di tutto il mondo:ma il suo è un «marxismo senza Marx»,mentre la critica di una economia politica è relegata al ruolo di simulacro dell’ideologia. In tutto questo non ci si stupisce che Zizek confonda la filosofia con la critica cinematografica. Il suo è non tanto un «Comunismo Metafisico» che non si sporcherebbe le mani con le lotte reali, come spesso si fa notare. Forse si tratta forse più semplicemente di un «Comunismo Avatar». E non è casuale che la seconda edizione della conferenza Idea of Communism organizzata da Zizek e Badiou a Berlino nel 2010 fosse dedicata soprattutto alle produzioni teatrali sul tema. Ma se il pensiero italiano è andato «a scuola»nelle lotte degli anni Sessanta e Settanta, qual è stata la palestra storica di questa peculiare paradigma teorico? L’insistente lettura di Zizek sul neoliberalismo come apparato ideologico nonsi forma paradossalmente sotto il Washington consensus, bensì ai tempi del del realismo socialista. Come la Scuola di Francoforte adottò l’apparato di propaganda nazista come calco per descrivere l’industria culturale americana, in modo simile Zizek impiega contro il pensiero unico neoliberista gli strumenti concettuali sviluppati sotto l’ideologia della cortina di ferro e isuoi apparati. In fondo quella era la forma del conflitto percepita, vissuta e sofferta nel quotidiano della ex-Jugoslavia, ideologica appunto, ma probabilmente non adatta oggi a descrivere il capitalismo, biopolitico e non. Crisi globale dell’economia Questa interpretazione del politico come problema ideologico produce continue ricadute. Fiancheggiando la vulgata lacaniana, il recente convegno di Amsterdam The Populist Front dedicato all’analisi critica dei populismi contemporanei, dal Tea Party all’olandese Geert Wilders passando ovviamente per l’Italia, sembra pericolosamente suggerire ai movimenti e ai partiti di sinistra di cimentarsi nell’invenzione del nemico per uscire dalla propria crisi. Si rivendicano qui tecnologie mitopoietiche similia quelle che i leader populisti europei usano nella costruzione delle fobie di massa,ma pare un po’ isterico il bisogno di dotarsi di un un «nemico immaginario», proprio nel momento in cui il nord e il sud sono attraversati da nuovi movimenti sociali. Alla deriva «populista» dell’intelligent sia olandese e a questo nodo irrisolto dell’immaginario politico nel dibattito filosofico,sembra rispondere a distanza la Scuola Europea di Immaginazione Sociale che Berardi Bifo sta organizzando per il prossimo 21 maggio a San Marino.

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