Come ben si sa tutti i paesi - e soprattutto i più piccoli - incontrano difficoltà  per adattarsi a un mondo sempre più globalizzato, stretto, interconnesso e interdipendente, con molti centri e molte periferie. I legami di connessione risultano infiniti e come conseguenza le forme di produzione e distribuzione tradizionali sono cambiate. Le imprese transnazionali condizionano una parte importante dell'interscambio commerciale del mondo e indicano le nuove regole a cui non abbiamo altra alternativa se non adeguarci.

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Integrazione e inclusione la grande sfida

Come ben si sa tutti i paesi – e soprattutto i più piccoli – incontrano difficoltà  per adattarsi a un mondo sempre più globalizzato, stretto, interconnesso e interdipendente, con molti centri e molte periferie. I legami di connessione risultano infiniti e come conseguenza le forme di produzione e distribuzione tradizionali sono cambiate. Le imprese transnazionali condizionano una parte importante dell’interscambio commerciale del mondo e indicano le nuove regole a cui non abbiamo altra alternativa se non adeguarci.

Come ben si sa tutti i paesi – e soprattutto i più piccoli – incontrano difficoltà  per adattarsi a un mondo sempre più globalizzato, stretto, interconnesso e interdipendente, con molti centri e molte periferie. I legami di connessione risultano infiniti e come conseguenza le forme di produzione e distribuzione tradizionali sono cambiate. Le imprese transnazionali condizionano una parte importante dell’interscambio commerciale del mondo e indicano le nuove regole a cui non abbiamo altra alternativa se non adeguarci.

Per rispondere a queste sfide e come risposta ineludibile alla globalizzazione, il mondo si sta organizzando in blocchi giganteschi.
Dall’America latina noi vediamo che, in concorrenza con le potenze sviluppate tradizionali, nel continente asiatico intorno a Cina e India si stanno formando due grandi blocchi sociali, tecnologici ed economici, e ci domandiamo: che dobbiamo fare? Quale sarà il nostro peso nel contesto umano, se continuiamo a negoziare atomizzati in una pletora di stati, senza una posizione comune, senza la gestione di uno spazio comune, senza la difesa di una cultura comune, senza il possesso comune della scienza e della conoscenza?
Perfino i paesi maggiori della nostra regione hanno bisogno del peso economico e politico del resto dei paesi. Questo vale anche per lo stesso Brasile, il primo paese latino-americano che ha deciso di cimentarsi a livello mondiale. Questo è uno dei suoi enormi meriti ma è anche una sfida. Noi non dobbiamo lasciarlo solo. Il Brasile deve essere cosciente della sua responsabilità e noi dobbiamo essere coscienti dell’obbligo di accompagnarlo.
Per questa ragione Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay firmarono nel 1991 il Trattato di Asunción con l’obiettivo di creare il Mercato comune del sud, il Mercosur. Attualmente Bolivia e Venezuela si trovano in un processo di incorporazione, mentre Cile, Colombia, Ecuador e Perù sono paesi associati.
Stiamo parlando di una zona che comprende quasi 12 milioni di chilometri quadri, più di 380 milioni di abitanti e che possiede immense risorse umane e naturali.
Siamo ben coscienti delle asimmetrie che il Mercosur presenta e dei suoi difetti, però crediamo che il modo per riequlibrarli stia nell’avviare politiche di avvicinamento e inclusione del maggior numero possibile di paesi dell’America del sud.
In questo senso, l’incorporazione del Venezuela come membro pieno del Mercosur è in attesa dell’approvazione del senato paraguayano, dove c’è una certa resistenza al governo di Hugo Chávez.
Il mio governo è a favore dell’entrata di Caracas. In primo luogo perché non si deve confondere un paese con un regime. I governi passano, i paesi restano.
Inoltre il Venezuela è un fattore riequilibrante di tutto il rio de La Plata in termini economici e di risorse naturali, perché è ricco di energia e al tempo stesso necessita di quello che noi produciamo. Quindi la sua incorporazione piena al Mercosud servirà benissimo a ridurre le differenze esistenti.
Nel Mercosur abbiamo bisogno del Venezuela e degli altri paesi sud-americani perché il potere del sub-continente sarà infinito se si sommeranno le risorse energetiche venezuelane, le riserve di acqua dolce della pampa nel sud e del rio delle Amazzoni e l’esperienza dei nostri popoli. L’obiettivo, quindi, è quello di costruire una nazione che includa tutto il sub-continente.
L’altro grande problema che la nostra regione deve affrontare attraverso l’integrazione e l’inserzione internazionale, è il riscatto dei poveri dell’America latina e l’incoporazione alla civiltà di enormi contingenti e masse che dobbiamo includere mediante una crescita verso il di dentro.
Questa sfida ci obbliga a moltiplicare la ricchezza, le risorse e le conoscenze, ma questo non risolverà da solo i problemi di una umanità fratturata. Non c’è una sola America latina, ce ne sono diverse. Ci sono i dimenticati della terra, i condannati al mondo delle favelas e ci sono le grandi capitali del sub-continente. Proprio nella lotta per la crescita e l’espansione economica e sociale, il maggior mercato potenziale nostro è quello dell’inclusione dei poveri dell’America latina. E per quanto questa regione abbia progredito molto nell’ultimo decennio, abbiamo ancora un debito colossale con i poveri dei nostri paesi.

 

L’autore è ex leader dei Tupamaros, presidente della Repubblica dell’Uruguay

©Ips-Ilmanifesto

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