Il presidente Mao tuonava: colui che non sa distinguere i cinque semi non è un vero cinese! E i cinque semi erano riso, frumento, miglio, orzo e soia: venivano mostrati agli intellettuali borghesi delle città  e di loro si faceva grande scorno se non li riconoscevano. ">

Il presidente Mao e il gioiello giallo

Il presidente Mao tuonava: colui che non sa distinguere i cinque semi non è un vero cinese! E i cinque semi erano riso, frumento, miglio, orzo e soia: venivano mostrati agli intellettuali borghesi delle città  e di loro si faceva grande scorno se non li riconoscevano.

Il presidente Mao tuonava: colui che non sa distinguere i cinque semi non è un vero cinese! E i cinque semi erano riso, frumento, miglio, orzo e soia: venivano mostrati agli intellettuali borghesi delle città  e di loro si faceva grande scorno se non li riconoscevano.

Della soia allora, erano gli anni Sessanta, da noi si sapeva poco e soprattutto noi umani non la mangiavamo e dubito che ne avremmo riconosciuto il seme. I cinesi invece se ne nutrivano da tremila anni almeno. Così rimasi esterrefatta quando in un bugigattolo di Pechino che si affacciava su un polveroso hudong mi trovai davanti a una bella scodella di latte tiepido che era latte di soia. C´era talmente tanto poco latte di mucca a Pechino in quegli anni che mi lasciai tentare. E bevvi il mio latte di soia. Buono? Non saprei. Di certo nutriente perché in Cina lo adoperavano come sostituto del latte materno, lo chiamavano “salvezza dei neonati”. Penso che tanti neonati siano stati davvero salvati dal latte di soia e che tanti ragazzini siano cresciuti forti e robusti grazie al tofu, che noi chiamiamo formaggio di soia ma che i cinesi chiamano invece “carne senza ossa”. 

L´aveva scoperto un alchimista del II secolo di nome Liu An il quale, nel corso dei suoi esprimenti per trovare l´elisir di lunga vita, si accorse che facendo cagliare i semi di soia tritati e sbollentati, si otteneva una sostanza pastosa, della consistenza pressappoco di una mozzarella, inodore e anche insapore. Da allora in Cina, e anche nei paesi che di molto le sono debitori, di tofu si vive e la soia è da sempre celebrata come “il gioiello giallo” e “il fagiolo sacro”. Nella Cina dell´epoca di Mao, dove l´incubo delle periodiche carestie continuava a turbare le speranze di sopravvivenza, la parola d´ordine era “lotta allo spreco!” . In tutte le mense e i ristoranti statali stava scritto “mangia fino all´ultimo fagiolo” e non c´era bisogno di questa esortazione perché i fagioli nelle ciotole erano tanto pochi che si potevano contare sulle dita delle mani. Pensare che, invece, i giapponesi li buttavano per strada i fagioli di soia, un rito antico per festeggiare l´inizio della primavera. Ancora oggi l´uomo più anziano della famiglia si mette sulla porta di casa con il volto coperto da una maschera da demone gridando “fuori gli spiriti del male, dentro la fortuna!” e sparge fagioli di soia tutt´intorno. Non so se i cinesi abbiano mai avuto una simile usanza, comunque all´epoca di Mao non sarebbe stata ammessa mai e poi mai.
Ma il tempo passa e in Cina la soia ha trovato una nuova utilizzazione secondo una leggenda metropolitana che si è rivelata realtà. Un industriale di Shanghai, tale Li Guangqi, nel 1999 dichiarò di avere scoperto il modo di lavorare fibre e baccelli di soia per ricavarne uno splendido tessuto, leggero e piacevole al tatto. Non gli credettero ma ora ha avviato la produzione del rivoluzionario “cashemere di soia” a dimostrazione che questo fagiolo è davvero una benedizione.

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