Rifugiati, la realpolitik trionfa sui diritti

Dietro la retorica umanitaria, così tanto sbandierata per l’intervento militare in Libia, si celano la più tradizionale realpolitik e una visione à  la carte dei diritti umani. Forse non a caso si è scelta la parola Odissea per denominare l’operazione militare in Libia: proprio quella a cui sono costretti tanti rifugiati e migranti nel Mediterraneo rischiando la morte a causa di barche strapiene, del mare inclemente e della disumanità  ipocrita dell’occidente.

Dietro la retorica umanitaria, così tanto sbandierata per l’intervento militare in Libia, si celano la più tradizionale realpolitik e una visione à  la carte dei diritti umani. Forse non a caso si è scelta la parola Odissea per denominare l’operazione militare in Libia: proprio quella a cui sono costretti tanti rifugiati e migranti nel Mediterraneo rischiando la morte a causa di barche strapiene, del mare inclemente e della disumanità  ipocrita dell’occidente.

Quella stessa ipocrisia che è alla base della contraddizione tra concessione del permesso di protezione temporanea, il suo limitato godimento e l’istituzione di blocchi navali ed aerei. La politica europea si caratterizza per un approccio strumentale, se non neocoloniale o «d’interesse». Come dimostra la ricostituzione sui migranti dell’asse franco-tedesco. Ieri infatti Berlino ha fatto sapere che giudica la decisione dell’Italia di accordare permessi temporanei ai migranti tunisini «contraria allo spirito di Schengen» e che quindi solleverà la questione lunedì alla riunione ministeriale Ue di Lussemburgo. L’integrazione euromediterranea – lanciata nel 1995 con la strategia di Barcellona – è miseramente fallita. Era una politica del «bastone e della carota», ma quello che alla fine è stato portato avanti è stato solo il «bastone »: contro gli immigrati. Niente politiche per lo sviluppo, niente sostegno alla democrazia e ai diritti umani (per non infastidire i rais locali), niente integrazione. Altro che «aiutiamoli a casa loro»: in questi anni l’aiuto pubblico allo sviluppo è stato falcidiato e in Italia praticamente azzerato. Si parla di «emergenza immigrazione». Madurante la guerra nell’ex Jugoslavia ospitammo in pochi mesi 100mila profughi (in Germania più di 350mila). Qui invece di fronte a 22mila arrivi, sembra di essere di fronte ad un’emergenza nazionale che però è pervicacemente voluta: si tratta infatti di «merce politica ed elettorale» che fa comodo alla Lega. Ma che, senza una gestione adeguata, le si può anche ritorcere contro. Allora, negli anni ’90, si organizzò un sistema di accoglienza decentrata, diffusa e per piccoli numeri con un percorso di integrazione gestito con la collaborazione tra volontariato ed enti locali. Come si sta facendo oggi in Toscana. Ma è un’eccezione. Ora, invece, si punta sui grandi campi e le strutture-lager. E, oggi, dopo i campi di prigionia entrano in azione pattuglie a mare di cacciatorpedinieri e gli incrociatori armati di tutto punto per bloccare e magari, se serve, abbordare e speronare le barche dei migranti e dei rifugiati. Com’è tragicamente già accaduto. Il grande afflato umanitario contro i feroci dittatori (solo alcuni, ovviamente) del Maghreb si risolve alla fine nel fare la faccia feroce alla povera gente che cerca scampo da noi. Così l’Europa diventa sempre di più una fortezza, ma dalle fondamenta fragili: quelle dell’egoismo, del particolarismo, dei sordidi interessi nazionali, delle piccole patrie, della paura, della guerra tra poveri. Un’Europa così è condannata a morire sotto il peso della contraddizione tra valori conclamati e comportamenti praticati. E l’Italia – con la Lega – è in prima fila nel rivendicare e realizzare questa politica della paura. La logica è sempre la stessa: quella della militarizzazione dei flussi migratori, della relazioni tra i paesi occidentali ed i paesi poveri, del disagio sociale e dei diritti umani. Cosa c’entri tutto questo con «l’interventismo umanitario» non si capisce. Macon la più triviale realpolitik sicuramente sì.

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