Che fine ha fatto la talpa di WikiLeaks

Il militare Usa accusato di aver passato i file segreti a WikiLeaks è in carcere da un anno in attesa del processo. E rischia la pena di morte    

Il militare Usa accusato di aver passato i file segreti a WikiLeaks è in carcere da un anno in attesa del processo. E rischia la pena di morte    

Chi lo ha potuto incontrare dice che ormai è allo stremo e accusa: “Questa è tortura”L´amministrazione Usa spera di spingerlo ad accusare il leader del sito dei misteriPrima di arruolarsi aveva avuto un´infanzia difficile e un pessimo rapporto col padre. Contro di lui ci sono 22 capi d´accusa Il più grave è “collaborazione con il nemico” .
Sostengono i 22 capi d´accusa – dal “furto di documenti pubblici” alla “collaborazione con il nemico” – che è stato lui, dalla sua postazione di specialista web della marina, laggiù in Iraq, a tirare fuori dal computer della rete militare i segreti di due guerre e della diplomazia mondiale: e a infilarli in un cd con la copertina di Lady Gaga. Ma nella storia senza fondo di WikiLeaks – lo scandalo scoppiato giusto un anno fa, 5 aprile 2010, con la pubblicazione del video che mostrava gli elicotteri americani in Iraq sparare sui civili – la parabola umana di Bradley E. Manning è un mistero ancora tutto da sciogliere: perché l´ha fatto, chi l´ha guidato. Con una sola certezza. Il trattamento in carcere che Human Rights Watch e gli attivisti di mezzo mondo hanno definito senza mezzi termini: «Tortura». 
«Il soldato Manning è rinchiuso nella sua cella per 23 ore al giorno», scrive il suo avvocato David E. Coombs. «Le guardie sono incaricate di controllare il suo stato ogni cinque minuti chiedendogli se è tutto ok. Il soldato Manning è obbligato a rispondere di sì. Di notte, se non riescono a vederlo bene, perché è sotto il lenzuolo o girato verso il muro, sono obbligate a svegliarlo per chiedergli se è tutto a posto. Il soldato riceve tutti i pasti in cella. Non gli è consentito avere cuscini o coperte». Funziona così da un anno in quel buco di Quantico attrezzato per detenzioni non più lunghe di 90 giorni. Anzi. Dagli inizi di marzo è anche peggio. «L´altra notte il soldato Manning è stato privato senza spiegazioni di tutti i suoi vestiti. È rimasto nella sua cella, nudo, per le successive sette ore. Alle cinque del mattino è suonata la sveglia per i detenuti. A questo punto il soldato Manning è stato obbligato a restare nudo davanti alla cella. Il supervisore è arrivato poco dopo le 5 e il soldato Manning è stato messo sull´attenti».
Ai capetti di WikiLeaks viene facile commentare su Twitter: «Spogliare Bradley Manning per costringerlo a testimoniare contro Julian Assange equivale agli abusi commessi ad Abu Ghraib e Guantanamo». Ma in fondo è davvero questa la ragione per cui da un anno l´America di Barack Obama («Il Pentagono mi ha confermato che le condizioni di detenzione sono idonee») sta chiudendo gli occhi davanti alla cella di Quantico: il corpo denudato del soldato Manning è l´unico corpo del reato nella più grande fuga di documenti della storia. Il corpo che – cedendo – potrebbe accusare il fondatore di WikiLeaks di quello che ha sempre negato: avere cioè “commissionato” il furto. A quel punto il gioco sarebbe fatto. Altro che gole profonde e libertà d´espressione. Questo si chiama complotto. 
«Questo è un eroe», ribattono gli attivisti che incominciano – un anno dopo – a manifestare davanti alla Casa Bianca. Ma il soldato Manning forse neppure lo sa. Il ragazzone che nelle foto su Facebook si vede sempre con la cuffietta bianca dell´iPod non può guardare giornali e tv. «Le sue condizioni fisiche e mentali stanno sempre più deteriorando, è sempre in catene», dice uno dei pochi amici che può incontrarlo, David House, un ricercatore 23enne del Mit di Boston con cui Bradley discuteva di fisica e computer. «L´ultima volta aveva lo sguardo fisso del vuoto. Sembrava faticare a trovare un filo». È da quando l´hanno sbattuto in quella cella che è sottoposto al Poi: Prevention of Injury. È il regime riservato ai detenuti a rischio suicidio. Ma gli stessi psichiatri militari del carcere – in un rapporto stilato più di sei mesi fa – avevano sostenuto che si trattava di una precauzione inutile. Anzi.
La sparuta biografia disegna un carattere più complicato. L´infanzia è condita dal divorzio dei genitori quando lui ha 14 anni. Brian Manning è un veterano della marina che conosce Susan Fox svernando in Galles. Tornata negli Usa la coppia ha una sorellina, Casey, e poi quel bambino, nel 1987. Bradley impara a cavarsela da solo col papà sempre via che adesso ha lasciato la Navy e lavora alla Hertz di Oklhaoma City. La famiglia vive nella vicina Crescent. È in questa landa – ricorda il giornalista Greg Mitchell – che la gola profonda di WikiLeaks cresce come un monello: pronto a criticare il governo e la religione e a sbattere i libri sul tavolo quando la discussione si fa troppo accesa. 
Poi, la prima metamorfosi. Il divorzio riporta Susan in Europa e il giovane Bradley si ritrova in un paesone chiamato Haverfordwest. Ma quando torna negli Usa la sorpresa di avere un figlio gay non piace a papà Brian, che del resto comincia ad averne piene le tasche. La matrigna un giorno chiama l´emergenza: «Il figlio di mio marito è fuori di sé, mi ha appena minacciato con un coltello…». Bradley vive come uno sbandato, dorme nella macchina dell´amico John Davis a Tulsa, poi si trova un lavoretto, Incredible Pizza, 6.50 dollari all´ora, emigra a Chicago, di lì a Potomac, Maryland, barista da Starbucks, commesso da Abercrombie & Fitch. Basta. Così non riuscirà mai a raccogliere i soldi per l´università. Metamorfosi numero due. 
Il padre ora dice che è stato lui a consigliargli d´arruolarsi «perché aveva bisogno che qualcuno gli raddrizzasse la schiena». Bradley dice invece che approfitterà della ferma per poi riscattare gli anni all´università. C´è di più. Quel ragazzo che si rifiutava di recitare a scuola il giuramento alla bandiera ora racconta di essere «fiero del successo del paese, della sua libertà, del suo ruolo di potenza nel mondo…». Possibile? Forse per lui l´Iraq è anche una Legione straniera dove pagare lo scotto della fine del suo amore. «Bradley Manning è nell´accampamento, da solo», scrive in terza persona su Facebook: «Mi manchi, Tyler!». 
Eppure un memo spuntato nel centro di addestrameno di Fort Drum aveva sconsigliato l´invio in Iraq per quegli episodi di indisciplina culminati nei battibecchi con gli ufficiali. Niente. Perfino quando per punizione – e per paura di qualche sciocchezza – gli impongono di girare con l´arma scarica nessuno pensa di allontanarlo da quel computer che sta svuotando di tutti i segreti.
Ci siamo. Il soldato Manning ha già consegnato il suo tesoro a WikiLeaks quel 21 maggio in cui si confessa via chat con Adrian Lamo, l´hacker che crede amico per il suo passato di sabotatore di Yahoo, Microsoft e New York Times. «La cosa che mi ha sconvolto è stato vedere quei 15 iracheni portati in prigione per aver criticato la corruzione del governo… Riferii tutto al mio superiore ma quello mi ordinò di tacere… Tutto cominciò a cambiare per me… Mi vidi per la prima volta coinvolto in un meccanismo che pensavo completamente differente». 
Lamo gli dà corda e lo sventurato confessa: «Se tu hai libero accesso a una rete di materiale classificato per un lungo periodo di tempo, diciamo 8 o 9 mesi, e vedi cose incredibili, cose orribili, cose nascoste al pubblico dominio, e non in un server nascosto in qualche oscura stanza di Washington… Che cosa faresti?». È qui che cede, è qui che Bradley ammette di aver passato il materiale a «un pazzo australiano dai capelli bianchi. In altre parole: ho fatto un casino». 
L´hacker scarica la chat e la porta all´Fbi. E quello stesso giorno, 26 maggio 2010 – il primo video shock dell´elicottero ha invaso il web da un mese, il New York Times comincerà a pubblicare le carte di WikiLeaks due mesi dopo – il soldato Manning viene prelevato dalla sua postazione in Iraq, sbattuto in una prigione del Kuwait e poi in quel buco di Quantico, Virginia. Dove da più di trecento giorni sta morendo. Con il suo ultimo segreto.

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