Morin: ridare poesia all’esistenza

TORINO — Frequenta da sempre i sentieri annodati di un pensiero aporetico, che sopporta la fatica di tenere insieme elementi apparentemente inconciliabili. «Bisogna saper vedere tutte le contraddizioni che ci stanno davanti— dice levando lo sguardo al soffitto Edgar Morin  — ma non lasciarsi paralizzare. Essere sempre vigili e insieme prudenti» .

TORINO — Frequenta da sempre i sentieri annodati di un pensiero aporetico, che sopporta la fatica di tenere insieme elementi apparentemente inconciliabili. «Bisogna saper vedere tutte le contraddizioni che ci stanno davanti— dice levando lo sguardo al soffitto Edgar Morin  — ma non lasciarsi paralizzare. Essere sempre vigili e insieme prudenti» . Il maestro francese interviene a Torino al convegno per i suoi novant’anni «La cultura della cultura. Il pensiero della complessità e le sfide del XXI secolo» , che si chiude oggi nell’aula magna del Rettorato. E di fronte a quella che definisce «l’onda della gioventù araba affamata di libertà e dignità» , all’irruzione dell’imprevedibile nella storia— «Ben Ali in Tunisia e Mubarak in Egitto sembravano stabili e permanenti com’era parsa l’Urss» —, il filosofo della complessità invoca un pensiero e una prassi politica che sappiano «collegare fenomeni e individuare un cammino nuovo» . Elementi al centro del suo percorso intellettuale, tra i più imponenti del Novecento, condensato in testi fondamentali come L’anno zero della Germania, Autocritica, Il metodo. Ultima opera tradotta in italiano, per i tipi di Erickson, la raccolta La mia sinistra. Nel confronto di ieri con il presidente emerito della Corte costituzionale Gustavo Zagrebelsky, Morin ha riflettuto sulle sfide poste all’uomo contemporaneo da un sistema culturale globale fondato su «quel tipo di follia che gli antichi greci chiamavano hybris» e che si dà come obiettivo supremo uno sviluppo tecnico-scientifico fine a se stesso, alimentando «una riflessione politica incapace di nutrirsi di idee in conflitto, combinare realismo e utopia, restituire il senso dell’incredibile avventura umana e riformare l’ordine esistente» nel nome di un’umanità intesa come comunità che condivide un medesimo destino per cui nessuno si salva da solo. «Occorre un’etica che resista alla barbarie e ci metta in condizione di realizzare una vita poetica» , sola risposta allo scacco della morte. «È nella vita intensa, nel senso non del cieco vitalismo ma di un percorso improntato a solidarietà e responsabilità, che trovano posto, contro la notte e la nebbia, speranza e metamorfosi» .

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