Un utile idiota per far accettare l’intervento

Nessuno più del Colonnello Gheddafi, con la sua guerra agli insorti libici, dimostra la rinnovata centralità  storica della categoria leninista dell’utile idiota.

Nessuno più del Colonnello Gheddafi, con la sua guerra agli insorti libici, dimostra la rinnovata centralità  storica della categoria leninista dell’utile idiota.

Solo poche settimane or sono si poteva ancora evidenziare un filo che attraversava gli avvenimenti in atto nel mondo arabo: la fine dello scontro tra civiltà, il tramonto definitivo di quella visione che tanto aveva contribuito a semplificare e giustificare, attraverso la contrapposizione islam-occidente, l’insorgere del terrorismo, gli attentati dell’11 settembre e la guerra permanente globale che ne era conseguita. Le piazze arabe, seppur con le loro specificità, testimoniavano che oramai quella colonna ideologica fosse crollata e che, se vi era un dato emergente, era certamente quello che non fosse un’onda islamica a percorrere il mondo arabo, arabo appunto, e non solo musulmano ma, al contrario, la rivendicazione di quei valori di partecipazione, opportunità, democrazia economica sociale e culturale che tante ragazze e ragazzi, studenti, lavoratori, attivisti dei diritti umani, stavano costruendo in maniera laica ed a partire dai loro riferimenti culturali. 
Ora la guerra a Gheddafi, con le sue ondivaghe decisioni e le conseguenze imprevedibili che porta con sé, sembrerebbe mettere una pietra tombale su questa onda variegata di risvegli. In effetto, se guardiamo alla quotidianità degli avvenimenti, non solo libici, ma egiziani, algerini, tunisini, yemeniti, e via enumerando, lo scenario non sembra certo quello delle «magnifiche sorti e progressive». Anche perché, lo dobbiamo ricordare, la seconda colonna della tesi di Hungtinton, era quella che l’Occidente non avesse conquistato il mondo con la superiorità delle sue idee, dei suoi valori o della sua religione, ma attraverso la superiorità nell’uso della violenza organizzata. Ecco dunque che i bombardamenti sulla Libia sembrerebbero dimostrare che l’Occidente non è interessato alla democrazia, ma solo a riaffermare la superiorità bellica come cifra essenziale della sua democrazia, in altre parole della sua capacità di decidere, manu militari, chi è democratico e chi no, seguendo solo il suo interesse economico. Torna dunque lo scontro tra civiltà? Tutto come prima? Niente affatto; proprio per via dell’accelerazione violenta, si direbbe quasi isterica, con cui una parte dei governi conservatori europei in affanno di popolarità in casa propria, si sono votati alla riconquista della Libia, guardati a vista dagli americani pronti a non farsi scippare il posto di comandanti in capo delle operazioni petrolifile, cioè amiche del petrolio, possiamo, e dobbiamo continuare a pensare, adesso che vieppiù emergono gli antecedenti dei cambiamenti nel mondo arabo – il ruolo delle organizzazioni della società civile, delle donne, dei partiti democratici, dei lavoratori, dei bloggers, dei cineasti indipendenti, dei giovani attivisti e scrittori – che questa tempesta di fuoco sulla Libia non servirà allo scopo di ricacciare l’universo arabo nello scontro di civiltà e che anche se l’onda lunga delle giornate di Taharir square e dell’avenue Burghiba sembra essersi arrestata, evaporata sotto il fuoco dei missili così ciecamente evocati da Gheddafi, questa guerra non riporterà indietro l’orologio della storia se non in Europa, che ne pagherà il prezzo più elevato, che non è solo quello dei profughi o del caro petrolio, quanto nei termini con cui il vecchio Mitterand aveva ammonito ai tempi della Bosnia ricordando che l’Europa nasceva o moriva a Sarajevo, intendendo così dire che quella vicenda tutta interna ad un continente in cerca di unità non solo economica, potesse essere il banco di prova per una politica estera sopranazionale. 
Oggi siamo ancora di fronte allo stesso dilemma-opportunità: l’Europa nasce o muore nel Mediterraneo; per questo la guerra va fermata subito, non certo da parte di quelli stessi che l’hanno cominciata, ma dal mondo pacifista, dei partiti della sinistra antimperialista, dai sindacati, da tutti coloro i quali lottano per l’Europa dei Diritti. Solo il sostegno alle nascenti democrazie nel mondo arabo potrà sostenere il processo di ricomposizione europea; accettare la guerra, al contrario, significa consegnare tutto il continente agli egoismi nazionali delle destre.

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