Euro-protettorato o rivoluzione democratica?

Il consiglio di sicurezza dell’Onu, il 17 marzo ha adottato prima dell’assalto di Bengasi, con dieci voti a favore e 5 astensioni, senza veto russo o cinese, una risoluzione che autorizza azioni aeree contro le milizie e l’esercito di Gheddafi. Questa risoluzione fa sparire il «preambolo» della zona d’interdizione di volo e autorizza, in sostanza, ad entrare in guerra contro Gheddafi, il che sembrava escluso all’inzio del mese di marzo.

Il consiglio di sicurezza dell’Onu, il 17 marzo ha adottato prima dell’assalto di Bengasi, con dieci voti a favore e 5 astensioni, senza veto russo o cinese, una risoluzione che autorizza azioni aeree contro le milizie e l’esercito di Gheddafi. Questa risoluzione fa sparire il «preambolo» della zona d’interdizione di volo e autorizza, in sostanza, ad entrare in guerra contro Gheddafi, il che sembrava escluso all’inzio del mese di marzo.

Resta poi vaga sugli obiettivi politici. Certo deve quasi tutto a un’iniziativa francese e a un coordinamento franco-britannico. 
Ma l’ascesa dei due stati militari, si spiega anche con la decisione americana di non farsi carico di un ruolo preminente in Mediterraneo in modo che la responsabilità incomba sugli alleati. Una responsabilità euroNato senza dubbio, nello spirito degli Stati Uniti; ma staremo a vedere: la Germania di fatto ha votato contro (con la sua astensione, la sua costituzione l’obbligherebbe a un precedente voto parlamentare); d’altra parte, la Turchia oppone il veto a una piena conversione Nato dell’operazione; questo è un segnale di indebolimento degli Stati Uniti nel Grande Medio Oriente che si manifesta anche come problema con Israele. «La Nato può intervenire militarmente solo se un paese alleato è attaccato», ricorda il premier turco Erdogan. Questo non ha impedito una coalizione ad hoc di formarsi fra membri della Nato e della Lega araba. E di decidere un’azione coordinata. 
Con il nuovo ministro degli esteri Juppé, il governo francese ha potuto cancellare l’immagine disastrosa dell’offerta di cooperazione poliziesca rivolta dalla precedente ministra a Ben Ali. Con l’improvvisazione volontarista, mimata da Sarkozy, mentre gli stati maggiori preparavano diverse opzioni, si è quindi riconstituita l’immagine di cui la Francia beneficiava in passato nelle opinioni arabe. Per fare cosa? La decisione della coalizione sembra corrispondere a un rapporto di forza ragionevole: le armi di Gheddafi, all’infuori dei suoi 41 missili Scud, non sono per nulla pericolose; ha un’armata privata (personale) di mercenari dotata d’artiglieria di carri armati, di qualche aviatore (tentato dalla diserzione). L’avanzata dei carri e dei miliziani assassini, lungo la strada sino a Bengasi, e i massacri scatenati nelle città riprese agli insorti all’ovest, non possono fargli recuperare il consenso del popolo. È quindi condannato. Cercando di imbrogliare le carte, lo stesso giorno ha proclamato il cessate il fuoco e l’ha immediatamente violato assediando Bengasi. 
Dopo la decisione d’urgenza che salva questa città, è l’obiettivo finale della guerra e del suo comando militare centrale che resta impreciso. Questa configurazione richiama la confusione militare dell’inizio dell’assedio di Sarajevo o lo scontro «tutto aereo» della Nato con l’esercito serbo, inquadrando l’espulsione violenta della popolazione civile kosovara. Ma ricordiamo che è la critica franco-britannica del «tutto aereo» americano che fu giustamente all’origine del riavvicinamento detto “di San Malo”. 
Il trattato recente deriva in parte da una critica tattica delle dottrine americane in Medio Oriente. La difficoltà che si intravede, per il comando militare della coalizione, è che un capo banda terrorista può ben prendere in ostaggio una città intera per negoziare la sua sopravvivenza politica. Ma salvare degli ostaggi é fuori dalle competenze tattiche di un attacco aereo, anche di alta precisione. In effetti, la migliore difesa dei carnefici è sempre di essere in contatto stretto con le vittime, facendosene scudo. In assenza di una forza militare addestrata dalla parte degli insorti, l’Onu senza uomini a terra, dovrà quindi sperare unicamente sullo sbandamento delle milizie e dello stato maggiore del dittatore sotto l’effetto degli attacchi aerei; ma nella «guerra difensiva genocida» iniziata, delle azioni terrestri saranno verosimilmente necessarie, se si vuole ritornar al cessate il fuoco e non rischiare l’impasse di un «modello Costa d’Avorio». Il peso degli Stati Uniti e delle azioni decisive rapide daranno il tono dell’andamento a venire. Dei bombardamenti troppo massicci possono rovesciare l’opinione pubblica. Un comando Nato di fatto distruggerà la credibilità di un sostegno ai movimenti democratici. Questa «guerra di liberazione» è lanciata da governi occidentali, fedeli sostegni delle dittature durante decine di anni e improvvisamente convertiti ai diritti umani. Il suo sbocco politico resta ambiguo e rischierà di sfuggire al popolo libico che, sebbene assai mobilitato, manca d’organizzazioni politiche e militari. La Libia cadrà allora in un regime di protettorato? È ciò che Gheddafi cerca di dire per fare l’eroe. È finito, ma solo un sostegno politico deliberato e durevole delle forze politiche democratiche europee potrà assicurare l’autonomia del movimento democratico libico ed evitare che l’intervento militare approdi a una ripresa in mano «neo-imperiale» che già minaccia, altrove, i movimenti democratici arabi.

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