La sinistra e la GUERRA: In Iraq no, in Libia sàŒ

L’espressione è diplomatica («il complesso rapporto della sinistra con la guerra…» ). Però ieri Il Foglio ha registrato, in suo editoriale, il «sì» del Pd alla risoluzione Onu sulla Libia («La guerra che piace alla gauche» ).

L’espressione è diplomatica («il complesso rapporto della sinistra con la guerra…» ). Però ieri Il Foglio ha registrato, in suo editoriale, il «sì» del Pd alla risoluzione Onu sulla Libia («La guerra che piace alla gauche» ).

Sottolineando le contraddizioni: no alla cacciata di Saddam Hussein («obiettivo considerato “imperialista”), sì al bombardamento di Belgrado («considerato strumento indispensabile per l’affermazione di ideali umanitari» ). E sì oggi in Libia. Il nodo sinistra-guerra è intricato. Non tutto è lineare come il «no» di Gino Strada, identico a quello pronunciato sull’Iraq. Lo dimostra, mentre la sinistra radicale («Onu-Nato Assassini» ) manifesta davanti all’ambasciata di Francia, la spaccatura a il manifesto tra Rossana Rossanda e Valentino Parlato. Nel 1999 nessuna esitazione: entrambi per il no. Rossanda disse al Corriere della Sera: «Se si arriverà a un intervento di terra nel Kosovo, inviterò alla diserzione e me ne assumerò tutte le responsabilità» . Piero Fassino, allora ministro per il Commercio con l’estero del governo D’Alema pro intervento Nato, le rispose duramente: «Lo ripeta guardando negli occhi i bambini kosovari» . Oggi Rossanda (9 marzo scorso) è su posizioni diverse: «Al manifesto non riesce di dire che la Libia di Gheddafi non è né una democrazia né uno stato progressista… mi impressiona che nessuno abbia voglia di offrire a questo popolo un aiuto» . Parlato è furiosamente su un altro fronte: «Questa è una guerra veterocolonialista. Francia e Inghilterra, vista la crisi dell’atomo dopo il disastro del Giappone, restituiscono il dovuto valore al petrolio e vogliono accaparrarsi quello libico» . Sorriso: «Diciamo che da questo punto di vista mi trovo su posizioni filoamericane…» . Se dovesse decidere lei, Parlato? «Al posto di Berlusconi, tratterei con Gheddafi subito e tenterei di mantenere i privilegi dei nostri accordi. Indubbiamente la penso in modo molto diverso da Rossana» . Altro che rapporto solo complesso. C’è persino il tormento. Luigi Manconi, già leader dei Verdi nel 1999, sempre con D’Alema a Palazzo Chigi, considerò «sbagliato in sé» l’intervento contro Saddam in Iraq. Invece nel 1999, sul Kosovo, i Verdi votarono un sofferto sì. Racconta oggi Manconi: «Alla fine la soluzione mi appariva inevitabile e chiara, anche perché eravamo forza di governo» . E oggi, lei che non è più parlamentare ma è l’animatore dell’associazione «A buon diritto» , avrebbe votato sì? «Però un mese fa. Si sarebbe potuto intervenire in maniera più efficace e meno cruenta, riconoscendo gli insorti e sostenendoli. Avremmo potuto farlo persino noi se non avessimo avuto con Gheddafi quel ruolo di subalternità tutto affidato alla politica di respingimenti disgraziatamente basata sulla negazione dei diritti fondamentali della persona» . C’è poi il caso articolato del Pd, maggior partito di opposizione (oggi) e di maggioranza relativa (nel 1999). Ai tempi di Saddam il no fu senza se e senza ma. Nella stagione di D’Alema a Palazzo Chigi, altro senza se e senza ma, però con un sì. Oggi altro sì privo di ombre con Gheddafi. Come si spiega un simile andamento? Dice Nicola Latorre, vicepresidente del gruppo Pd al Senato: «Sinceramente non vedo alcuna contraddizione» . Allora cominciamo da Saddam: «Lì c’era un unilateralismo ideologico degli Stati Uniti, l’assurdo tentativo di “esportare la democrazia”che inevitabilmente portò acqua al mulino della radicalizzazione dello scontro tra civiltà» . E il Kosovo? Non pesava molto, troppo, la presenza di D’Alema a Palazzo Chigi? «Dirò anzi che lì arrivammo in ritardo, a pulizie etniche già concluse, con un Occidente ottusamente lontano e miope» . E ora arriviamo alla Libia. Siamo veramente così lontani da Saddam, scusi? Cicchitto ve lo ha fatto notare. «Nulla a che vedere. Qui si interviene per tutelare i civili, non per “esportare la democrazia”ma per aiutare i libici a riprendersi la loro. Piuttosto vorrei rispondere a Cicchitto che senza di noi il governo sarebbe andato sotto…» . Infine Nichi Vendola, Sinistra Ecologia e Libertà, che non ha cambiato idea in nessuna delle occasioni di guerra: «La logica secondo cui per fermare un massacro bisogna compierne un altro pone dilemmi e prospettive inquietanti. La cosa più saggia è concentrarsi sul cessate il fuoco e puntare sull’isolamento di Gheddafi. Comunque sia, non si può invocare la non ingerenza quando si è in presenza del terrore di Stato. Ma bisogna puntare su azioni che non siano la guerra per riuscire a tenere una cornice internazionale di legalità» .

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